Il FRACKING e la SUBSIDENZA Contro le trivelle – Il referendum del 17 aprile 2016

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a cura del dott Giovanni Greco

Il FRACKING e la SUBSIDENZA

Inoltre, almeno teoricamente, si potrebbe dimostrare la correlazione tra la subsidenza dei terreni e le trivelle, come anche la correlazione tra i terremoti e il fracking. Addirittura sembra sia provato da anni che l’estrazione di materiale dal sottosuolo possa aumentare il fenomeno della subsidenza. Il caso Emilia Romagna è il più indicativo di questo tema ambientale italiano.
L’Emilia-Romagna è una delle regioni maggiormente interessate dall’estrazioni di idrocarburi le quali, dopo i prelievi di acque sotterranee, sono tra le principali cause di abbassamento del suolo. Il rapporto causa effetto, tuttavia, non pare verificarsi sempre con le stesse modalità, ovvero l’effetto di subsidenza può essere più o meno evidente, fino ad essere addirittura assente e, in generale, appare circoscritto all’area interessata dal giacimento

La subsidenza è un fenomeno di abbassamento della superficie terrestre che può essere determinato sia da cause naturali (evoluzione della crosta terrestre, costipamento dei sedimenti) sia da cause antropiche. La pianura emiliano-romagnola è caratterizzata da un 10_d0fenomeno di subsidenza naturale, al quale si sovrappone, in diverse aree, un abbassamento del suolo di origine antropica, legato principalmente a eccessivi emungimenti di acque sotterranee e, in misura minore e arealmente più limitata, all’estrazione di gas da formazioni geologiche profonde. L’entità degli abbassamenti dovuti a cause naturali è dell’ordine di alcuni millimetri/anno, mentre la subsidenza antropica può presentare velocità di abbassamento del suolo molto più elevate, variando considerevolmente a seconda delle zone.

cfr:
http://www.arpa.emr.it/cms3/documenti/_cerca_doc/stato_ambiente/annuario2012/cap_09d-12.pdf


In Italia esistono norme di sicurezza?

C’è chi dice che : “Estrarre in Italia significa rispettare norme rigide ed elevati standard di sicurezza”.
E invece il Paese dove estrarre idrocarburi è più pericoloso in assoluto è proprio l’Italia. Infatti, in base alle statistiche ufficiali (i dati provengono dalla Commissione Europea) sui 1.300 incidenti avvenuti in Italia negli ultimi 20 anni, emerge l’inquietante conferma che un impianto di estrazione di idrocarburi in Italia è il 1.200% più pericoloso che in Algeria, in ex-Yugoslavia, in Turchia, in Tunisia, in Libia o in Marocco; il 300% più pericoloso che in Francia, in Spagna, in Grecia o a Malta. Ossia negli ultimi 20 anni c’è sempre stata una correlazione diretta fra aumento delle estrazioni e aumento degli incidenti. Dove sarebbero questi “elevati standard di sicurezza” quindi ?

Inoltre le perforazioni esplorative e le trivellazioni hanno devastanti conseguenze anche per il loro forte impatto sanitario sull’ambiente, provocato quest’ultimo, dall’uranio impoverito. Poi c’è il conseguente raffinamento che necessita di temperature altissime. Queste liberano nell’atmosfera sostanze altamente tossiche e cancerogene tra cui il cobalto e il molibdeno. Ad esempio in Basilicata le patologie tumorali sono superiori a quelle di tutto il nord Italia e questa è una conseguenza di trenta anni di estrazioni petrolifere.
Le perforazioni esplorative e le trivellazioni, innanzi tutto, non considerano mai l’impatto sanitario, provocato sia dall’uso dell’uranio impoverito che da un mix di altri composti radioattivi e metalli pesanti, sulla testa delle trivelle (Brevetti della Halliburton 1984 e 2011), sia dall’utilizzo di solventi e sostanze chimiche (circa settecento secondo Susan Nagel dell’University of Missouri School of Medicine), usati per favorire la penetrazione delle trivelle nel sottosuolo. Tali elementi, aumentano l’insorgenza di interferenze endocrine sia in età pediatrica che nell’adulto. In particolare, ciò comporterebbe l’aumento dell’incidenza di cancro della mammella nelle donne e di tumore alla prostata negli uomini. Anche gli scarti della lavorazione petrolifera, ossia i cosiddetti fluidi di perforazione (per un barile di petrolio sono necessari circa 160 lt di acqua), contaminando acqua e suolo, altererebbero la catena alimentare, causando anch’essi danni alla salute. A ciò vanno aggiunti gli effetti dannosi prodotti dall’acido solfidrico (o idrogeno solforato), nocivo anche a basse dosi, che rappresenta il principale prodotto della lavorazione petrolifera, soprattutto nel petrolio lucano, di qualità inferiore, per l’alta concentrazione di zolfo, e perciò definito heavy, sour crude (pesante e amaro) in quanto più viscoso e corrosivo. È necessario, quindi, per il suo raffinamento, utilizzare sia maggiori quantità di acqua che pressioni e temperature altissime, con liberazione di sostanze altamente tossiche e cancerogene tra cui il cobalto e il molibdeno. Dalle fiamme della combustione, infine, vengono emessi almeno altri sessanta inquinanti cancerogeni tra cui benzene, formaldeide, idrocarburi policiclici, acetaldeide, etc. (…) In Basilicata, si è compiuto, di fatto, un autentico scempio dell’ambiente che ha interessato l’aria (inquinamento dagli impianti di desolfurizzazione petrolifera, stoccaggio e estrazione, inceneritori, cementifici, ferriere), il suolo (fanghi delle lavorazioni petrolifere, incidenti delle estrazioni, interramento rifiuti, acidificazione della Val D’Agri) e l’acqua, la vera ricchezza di cui dispone la regione, fonte di vita non solo per i suoi abitanti ma anche per alcuni milioni di cittadini di Puglia, Campania meridionale e Calabria settentrionale, che dipendono dai suoi bacini idrici.
cfr:
http://comune-info.net/2016/03/trivelle-petrolio-e-salute-il-caso-della-basilicata/

Ma poi In Italia le industrie legate al petrolio sino ad oggi hanno prodotto solo morti e malati ai polmoni. Basta ricordare le industrie di Augusta, Falconara, Gela, Marghera, Priolo, Ravenna, Sarroch, Viggiano. E il turismo che si perderà con le trivelle ad esempio alle Tremiti ? Ma anche guardando gli altri paesi: nel Regno Unito 150 piattaforme saranno smantellate per far posto all’eolico. In Francia sono stati bocciati tutti i permessi energetici di petrolio. Mentre l’Arabia Saudita ha avviato programmi per il solare su grande scala. I petrolieri sembra abbiano scelto l’Italia solo per le royalties e i permessi, dunque.

Contro le trivelle – Le ragioni del al referendum del 17 aprile 2016

Al referendum del 17 aprile contro le trivellazioni bisogna scrivere SI per  due valide ragioni. Primo perchè per raggiungere l’indipendenza energetica serve solo: 1) risparmiare sull’energia, 2) usare i pannelli solari su tutti i condomini e sugli impianti industriali, e 3) soprattutto cacciando via la mafia dalle mega centrali eoliche e fotovoltaiche che cancella il paesaggio. Difficile credere che l’indipendenza energetica si possa ottenere trivellando il suolo marino e terrestre. Secondo.  Tanti anzi tantissimi italiani si sono accorti che l’Eni e il governo cominciano a temere di perdere o di dover metter in discussione l’industria del petrolio. Ed è grazie ai moderni metodi di comunicazione che si sta creando una massa di persone che ora conoscono ciò che la Tv ufficiale tenta di oscurare.

In televisione sentirete dire che se vince il NO perderemo migliaia di posti di lavoro.

  • Intanto diciamo subito che in tv parlano dell’indipendenza energetica affidando allo sfruttamento petrolifero la soluzione a questo bel problema! Ma la tv non dice che il petrolio che abbiamo è talmente poco che se tutto lo stivale fosse trivellato da nord a sud e viceversa, comunque sia non saremo mai e poi e mai  autosufficenti.
  • Poi la tv non parlerà mai della qualità del nostro petrolio, che ad esser “poetici” è schifoso, saturo di impurità sulfuree che vanno eliminate il più vicino possibile ai punti estrattivi.
  • Poi la tv dice che se vincesse il NO perderemo migliaia di posti di lavoro. Ma non è credibile. Quanti occupati prometterebbero le piattaforme petrolifere? E complessivamente: per quanti mesi poi lavorerebbero queste persone? Si, perchè tutta questa massa di disoccupati lavorerebbe per pochi mesi, giusto il tempo di perforare, estrarre e esaurire le giacenze sotterranee. Gool o fake quindi?

 Infine ecco Dieci motivi per dire no alle estrazioni di petrolio in Italia (da ilfattoquotidiano)

1.Paesaggio e turismo
L’Italia è un paese densamente abitato, con un paesaggio invidiabile, variegato, fatto di colline, di mare, di boschi, di posti unici. Dove le mettiamo queste trivelle? Ovunque ti giri c’è comunità, c’è vita, c’è potenziale di bellezza, non deserto. Come si può pensare di trivellare a pochi chilometri da Venezia o da Pantelleria? Petrolizzare un territorio significa imbruttirlo, avvelenarlo, annientando quasi tutto quello che già sul territorio esiste o potrebbe esistere. E significa farlo sul lungo termine. Chi comprerà una casa con vista pozzo? Quale turista vorrà venire in Italia a vedere il mare o le colline bucherellate dalle trivelle o a respirare aria di raffineria? Fra l’altro la tutela del paesaggio è uno dei punti fondamentali della nostra Costituzione.

2.Petrolio scadente
Il petrolio presente in Italia – in generale – è scadente, in qualità ed in quantità, ed è difficile da estrarre perché posto in profondità. E’ saturo di impurità sulfuree che vanno eliminate il più vicino possibile ai punti estrattivi. Non abbiamo nel sottosuolo il petrolio dei film texani, quanto invece una sorta di melma, maleodorante, densa e corrosiva che necessita di vari trattamenti prima di arrivare ad un prodotto finale.

3. Infrastrutture invasive e rifiuti
Questo fa sì che ci sia bisogno di infrastrutture ad hoc: pozzi, centrali di desolforazione, oleodotti, strade, porti petroliferi, industrializzazione di aree che sono al momento quasi tutte agricole, boschive, turistiche. Non dimentichiamo gli abbondanti materiali di scarto prodotti dalle trivellazioni – tossici, difficili e costosi da smaltire – con tutti i business più o meno legali che ci girano attorno. E non dimentichiamo il mare, dove la ricerca di petrolio può causare spiaggiamenti di cetacei, e dove è prassi ordinaria in tutto il mondo lo scarico in acqua di rifiuti petroliferi secondo il principio “occhio non vede, cuore non duole”.

4. Inquinamento aria
Sia dai pozzi che dalle centrali di desolforazione vengono emesse sostanze nocive e dannose all’agricoltura, alle persone, agli animali. Fra questi, l’idrogeno solforato (H2S), nitrati (NOx), i composti organici volatili (VOC), gli idrocarburi policiclici aromatici (PAH), nanopolveri pericolose. Alcune di queste sostanze sono provatamente cancerogene e causano danni al DNA ed ai feti. Possono anche causare piogge acide, compromettere la qualità del raccolto e la salute del bestiame. Chi eseguirà i monitoraggi, chi controllerà lo stato di salute delle persone? E’ giusto far correre questi rischi ai residenti, dato che gli effetti nefasti del petrolio sulla salute umana sono noti, e da tanto tempo, nella letteratura medico-scientifica?

5. Inquinamento acqua
Nonostante le cementificazioni dei pozzi e l’utilizzo di materiale isolante negli oleodotti, tali strutture con il passare degli anni presentano cedimenti strutturali, anche lievi, dovuti al logorio, alle pressioni, allo stress meccanico. L’elevata estensione degli oleodotti, e la profondità dei pozzi, rende difficile individuare queste fessure, che possono restare aperte a lungo, inquinando l’acqua del sottosuolo e danneggiando gli ecosistemi con elevati costi di ripristino.

6. Idrogeologia e sismicità
L’Italia è a rischio sismico, con già tanti problemi di stabilità idrogeologica, di subsidenza, a cui si aggiungono in molti casi l’abusivismo e la malaedilizia. In alcuni rari casi (ma ne basta uno solo!) le ispezioni sismiche, le trivellazioni, la re-iniezione sotterranea di materiale di scarto ad alta pressione possono alterare gli equilibri sotterranei, checché ne dica qualcuno dei “tuttapostisti” accademici italiani. Come non conosciamo perfettamente la distribuzione delle falde acquifere, così non conosciamo perfettamente neanche quella delle faglie sismiche. Stuzzicare i delicati equilibri geologici può innescare terremoti, anche di magnitudine elevata. E’ già successo in Russia, in California, in Colorado.

7. Incidenti
Anche prendendo tutte le precauzioni possibili, i pozzi possono sempre avere malfunzionamenti. In Italia abbiamo avuto già esempi di scoppi o incidenti gravi con emissioni incontrollate di idrocarburi per vari giorni senza che nessuno sapesse cosa fare: nelle risaie vicino a Trecate, nei mari attorno alla piattaforma Paguro, nei campi di Policoro. Per risanare Trecate non è bastato un decennio. Non per niente in California c’è una fascia protettiva anti-trivelle di 160 chilometri da riva, e non per niente è dal 1969 che non si buca più il mare.

8. Speculatori
Molte delle ditte che intendono trivellare l’Italia sono minori, straniere, con piccoli capitali sociali. Spesso annunciano di volere fare il salto di qualità con il petrolio d’Italia perché – e lo dicono candidamente ai loro investitori – da noi le leggi sono meno severe, è facile avere i permessi, le spese di ingresso sul territorio sono basse. Saranno, queste micro ditte irlandesi, australiane, statunitensi e canadesi, capaci di gestire i controlli ambientali a regola d’arte? Ed in caso di incidenti, con i loro esigui capitali sociali, avranno le risorse per affrontare operazioni di pronto intervento, risanamento ambientale e risarcimento danni?

9. Minimi benefici
Il petrolio d’Italia non farà arricchire gli Italiani, non porterà lavoro, e tanto meno risolverà i problemi del bilancio energetico nazionale. Le royalties d’Italia sono basse, e la maggior parte di questo petrolio verrà estratto da ditte straniere, libere di vendere il greggio su mercati internazionali. E’ pura speculazione, niente più.

10. Basilicata
Ed anche se tutto fosse fatto a opera d’arte, il vero conto va fatto su tutto quello che il petrolio distruggerà, sui rischi che ci farà correre, a fronte dei suoi presunti vantaggi. In Italia abbiamo già una regione che è stata immolata al petrolio e di cui il resto d’Italia sa poco. E’ la Basilicata, che fornisce a questa nazione circa il 7% del suo fabbisogno nazionale. Tutti i problemi elencati sopra sono realtà in Basilicata: sorgenti e laghi con acqua destinate al consumo umano inquinate da idrocarburi, declino dell’agricoltura, del turismo, petrolio finanche nel miele, aumento di malattie, mancanza di lavoro, smaltimento illegale di materiali tossici, anche nei campi agricoli. E cosa ha guadagnato la Basilicata da tutto ciò? Un dato per tutti: secondo l’Istat, la Basilicata è la regione più povera d’Italia. Era la più povera prima che arrivassero i petrolieri con le loro vuote promesse di ricchezza, lo è ancora oggi.

Ma… cari professori, invece che fare buchi non sarebbe meglio coprire tutti i tetti d’Italia con un pannello fotovoltaico?
cfr:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/11/30/dieci-motivi-per-dire-no-alle-estrazioni-di-petrolio-in-italia/431482/

a cura di Giovanni Greco

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Ricerche a cura del dott Giovanni Greco;
dott in Conservazione dei Beni Culturali, con laurea in archeologia industriale, è studioso e autore di numerose ricerche sul Salento, Erasmus in Germania nel 1996, ha viaggiato per venti anni in Italia e in Europa, ha lavorato un anno in direzione vendite Alitalia nell’aeroporto internazionale di Francoforte, ha diretto per cinque anni la sezione web di un giornale settimanale cartaceo italiano a Londra, libero professionista, videomaker, artista raku, poeta, webmaster, blogger, ambientalista, presentatore, art director, graphic designer, speaker radio, giornalista freelance Internazionale iscritto presso l’agenzia GNS Press tedesca, collabora come freelance con diverse realtà sul web e sul territorio locale. Dal 1998 è direttore responsabile della rivista on line “BelSalento.com – arte, storia, ambiente, politica e cultura della Terra dei Due Mari – Servizi di Fruizione Culturale”.
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