L’illuminazione cittadina a OLIO nell’Ottocento leccese (sino al 1873)

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ricerche a cura del dott Giovanni Greco

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Untitled - 20 L’illuminazione cittadina a OLIO nell’Ottocento leccese
(sino al 1873)

Quando i cittadini leccesi dell’Ottocento passeggiavano in città la sera, si ritrovavano nella penombra dei pochi fanali a olio (lanterne o lampioni) collocati per l’illuminazione notturna lungo le vie principali e nelle piazze della città. Nelle ricorrenze più salienti, sotto i balconi e davanti alle botteghe, sfilavano le processioni dei santi circondate da lumi a olio (le lucerneddre de Santu Ronzu) ricche dei gonfaloni variopinti delle arciconfraternite. (…) (Lucerneddhe de Santu Ronzu, diventerà una canzone degli anni trenta del ‘900 del leccese Franco Perulli.

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Fra gli anni Sessanta e i primi del decennio seguente dell’Ottocento, in occasione delle feste cittadine, fra i solenni palazzi stemmati, con balconi e finestre illuminate a olio, nella strada affollata di passanti e commercianti e di fronte ad una speziera, i venditori di candele si confondevano ai distributori di manifesti teatrali. In questo periodo, come già nell’antica Lupiae, vige ancora il tradizionale e millenario sistema d’illuminazione ad olio di uliva e di bacche di mortella.

In un articolo contenuto nel “Numero Unico per le Feste Inaugurali” del giugno 1898, il professore Cosimo De Giorgi scriveva : “Nessuno dei cronisti leccesi, ch’io sappia, ci ha tramandato veruna notizia sulla pubblica illuminazione notturna della nostra città nei secoli scorsi (…). E pure se diamo uno sguardo alla pianta di Lecce rilevata pochi anni fa dall’ing. Felice Romani per la Società del gas illuminante, e rivenduta dall’ing. Michele Astuti, che la pubblicò per conto del Municipio, ci parrà incredibile che Lecce abbia potuto restare al buio nelle lunghe notti invernali“. (8)
Con questa pianta della città – prosegue De Giorgi – con le sue “vie strette e tortuose come un labirinto, che ora s’allargano a mò di piazzetta (…), ora terminano a fondo cieco in lunghe corti angiporti ramificate come i tentacoli di un polipo (…) anche la luce del satellite terrestre ‘d’argento ricca ci lu simena a lu jentu’, come la definì il nostro massimo poeta dialettale (…) penetra scarsamente fra le vie anguste e fiancheggiate da alti edifizi. Era quindi necerraio illuminarle artificialmente, e ciò fu fatto nelle vie principali servendosi del prosaico olio di uliva che veniva fabbricato in loco. Al tempo di Galateo (nei primi del secolo XVI) gli uliveti giungevano fino alle mura di Lecce, e sotto l’abitato vi erano molti frantoj per “acciaccare” le ulive e cavarne l’olio. Sappiamo pure. e ce lo assicura il De Simone, che si estraeva un olio di qualità inferiore anche dalle bacche della mortella; e forse era destinato alla pubblica ed alla privata illuminazione” (9).

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La scarsa documentazione sull’illuminazione urbana leccese all’inizio dell’Ottocento, ci informa che nel 1818, c’erano 79 “riverberi” (lampioni), e che la spesa relativa a 54 giorni (nel periodo compreso fra agosto e i primi dieci d’ottobre di quell’anno) era pari a 458,59 ducati e mezzo.
Proseguendo la lettura del De Giorgi, “… sino al 1860 tutte le vie della nostra città furono illuminate con lampade ad olio di uliva. … Le vie di Lecce erano tutte all’oscuro; pochi fanalisti le percorrevano a passo di tartaruga, muniti di una lanterna e di una lunga scala di quelle che si adoperano dai contadini per abbacchiare le ulive. I pubblici lampioni erano degli arnesi madornali sospesi in cima a lunghe pertiche di ferro. Giunti ad uno di questi i fanalisti distaccavano dal muro una catena che era attaccata con l’altro capo alla pertica, facevano girare quest’ultima su grossi arpioni, in modo da condurla nel mezzo della via, e poi la fissavano con due barbacani di ferro. Quindi montavano sulla scala e accendevano la lampada. Era l’affare di un buon quarto d’ora per ogni fanale, e di un paio di ore per tutti. Tuttociò avveniva nei soli giorni nei quali la luna non splendeva sull’orizzonte; ed i fanalisti dovevano tener sempre l’occhio al calendario. Dal primo giorno del novilunio sino al terzo dopo il plenilunio i lampioni restavano inesorabilmente spenti“.

Le migliori occasioni per avere un pò di luce nella città di Lecce, prosegue il professore in quest’articolo, s’avevano nel periodo estivo, in occasione delle feste patronali in onore del santo patrono della città (dal 15 al 26 agosto) o di altri santi, allorquando “le poetiche lucerneddre de Santu Ronzu … ornavano i davanzali delle finestre e gli architravi delle porte nelle case meno agiate. L’illuminazione ad olio nelle vie e nelle piazze (la così detta villa e la macchina, tuttora in uso) e sulle facciate delle chiese era di rito in queste occasioni; ma orribile era il puzzo della moccolaja (moccolo=residuo di candela) che restava fino a tarda ora di notte. Questo sistema patriarcale era adottato anche dai privati; e se riusciva dannoso ai polmoni era molto igienico per la vista

(8) Cosimo De Giorgi, Numero Unico per le Feste Inaugurali del giugno 1898; Tipografia Editrice Salentina, fratelli Spacciante, 1898.
(9) Cosimo De Giorgi, Numero Unico per le Feste Inaugurali del giugno 1898; Tipografia Editrice Salentina, fratelli Spacciante, 1898.
(10) Intendenza di Terra d’Otranto, Affari Generali, b.39, fasc. 764; 16 ottobre 1818.
(11) Cosimo De Giorgi, Numero Unico per le Feste Inaugurali del giugno 1898; Tipografia Editrice Salentina, fratelli Spacciante, 1898.
(12) ibid.


25335f_f1ab346e5cf2fb9c17b318eefe6c57ddNella foto, un lampione con decorazioni in ghisa e stemma della città di Lecce, 1873In realtà la lupa guarda sempre a Ovest mentre qui è rivolta a Est. È una delle due colonne in ghisa che erano presenti di fronte alla chiesa di S.Maria della Nova, in via Idomeneo a Lecce. I lavori di impianto del nuovo sistema di illuminazione a gas di petrolio iniziarono nel febbraio del 1873 e si conclusero nel marzo del 1874, trasformando la fisionomia della città. Fra ottobre e novembre 1873, i Municipi di Copertino, Torchiarolo, Alezio, Trepuzzi, Castellaneta, Taviano, Brindisi, Massafra oltre ad alcuni privati, chiesero la cessione, a prezzo di estimo, dei vecchi fanali a petrolio. Lecce effettuò una vendita pubblica nel maggio del 1873, e un’altra l’anno seguente (v. manifesto). (2) Nella foto, un lampione con decorazioni in ghisa e stemma della città di Lecce, 1873

(1) Cosimo De Giorgi, Numero Unico per le Feste Inaugurali del giugno 1898; Tipografia Editrice Salentina, fratelli Spacciante, 1898.
(2) Archivio Storico Comunale di Lecce, Cast. Carlo V;

palo 1873

Certo le memorie del passato, sono appunto memorie. Ma vanno anche conservate quando queste servono a ricordarci quanto sia stata potente la volontà di una comunità del passato, nel cercare soluzioni per il suo futuro. In questo caso quel palo in ghisa era una di quelle memorie che servivano per recuperare la forza di volontà della cittadinanza leccese di fine Ottocento, che è stata capace di voler cavalcare le onde del progresso al pari di altre metropoli europee, tant’è vero che i sindaci del tempo vedevano determinanti, ad esempio, un congiungimento con il mare e relativa bonifica verso la marina di San Cataldo; e per realizzare il tutto fu costruita una tranvia elettrica (che vinse anche una medaglia d’oro per essere la più lunga dell’epoca – 1888, tre vagoni in tutto, 12 metri di lunghezza totale).

La nuova illuminazione venne considerata dai nostri concittadini come un indice di civiltà e di progresso; e la nostra Atene pugliese non volle esser da meno delle altre sue consorelle italiane. La parola progresso applicata alle altre del secolo dei lumi correva allora sulle bocche di tutti ed era ripetuta sino alla noia sui giornali leccesi di quel tempo” (Cosimo De Giorgi, Numero Unico per le Feste Inaugurali del giugno 1898, Tipografia Editrice Salentina, fratelli Spacciante, 1898).

Furono anni dettati da menti sveglie, che volevano una “sana” illuminazione cittadina; in quel periodo affascinante, l’ingegno degli INTRAPRENDITORI aveva un libero sfogo e nei locali di ritrovo dei cittadini leccesi del 1870, si discutevano le stesse appassionate visioni del futuro al pari dei salotti contemporanei milanesi o parigini … e in quel periodo, nella illuminazione pubblica di Lecce, si passava dall’uso dell’olio che era luce fioca, puzzava e faceva fumo, all’illuminazione a gas e poi a gas di petrolio e poi elettrica, migliorando quindi la qualità della luce emessa.

Fra ottobre e novembre 1873, i Municipi di Copertino, Torchiarolo, Alezio, Trepuzzi, Castellaneta, Taviano, Brindisi, Massafra oltre ad alcuni privati, chiesero la cessione, a prezzo di estimo, dei vecchi fanali a petrolio. Lecce effettuò una vendita pubblica nel maggio del 1873, e un’altra l’anno seguente (come da manifesto conservato presso l’Archivio Storico Comunale di Lecce). I lavori dell’impianto del nuovo sistema di illuminazione a gas di petrolio – appaltato dal Comune di Lecce, sindaco Carlo D’Arpe, all’industriale belga Cassian Bon, fondatore delle acciaierie di Terni – iniziarono nel febbraio del 1873 e si conclusero nel marzo del 1874, trasformando la fisionomia della città. L’illuminazione a gas di petrolio giungeva nelle vie per mezzo di solidi bracci in ghisa, inchiodati ai muri dei palazzi (con tubatura connessa), o con colonnine come nella foto.

L’impianto a gas funzionò sino al 1898, quando durante l’amministrazione del sindaco Giuseppe Pellegrino, subentrò l’illuminazione elettrica.

Sino a poco tempo fa, di questo genere di strutture (400 fanali distribuiti nelle piazze e nelle vie principali), permaneva in situ quella colonnina finemente decorata in ghisa, databile, al 1873, che si trovava di fronte la chiesa S. Maria della Nova in via Idomeneo (erano due per la verità, ma una è già sparita da qualche anno). In essa, era rappresentato lo stemma della città, così come era previsto all’art. 13 del capitolato datato 1872. Quel lampione aveva la caratteristica di avere lo stemma stampato al contrario: in quanto la lupa guarda sempre a Ovest mentre in questi lampioni in ghisa era rivolta a Est. Le figure araldiche, infatti, seguono questo andamento perché sullo scudo erano ritratte in maniera tale da affrontare l’avversario nella stessa direzione del guerriero che lo imbracciava. Per questo l’allora amministrazione ne bloccò immediatamente la fornitura. Di questo mondo, restava quel palo, ultima rappresentanza di quella volontà di tecnologia e “progresso”, appunto. E ci dispiace che lo abbiano smantellato!!! … E invece bisogna dare un apprezzamento storico sulle opere industriali che hanno contribuito a fare grande la comunità locale del sud Italia. Cosa ne penserebbe l’amministrazione Pellegrino del 1898!25335f_518ae8153940454a9e6290e52facb745

Certo le memorie del passato, sono appunto memorie. Ma vanno anche conservate quando queste servono a ricordarci quanto sia stata potente la volontà di una comunità del passato, nel cercare soluzioni per il suo futuro. In questo caso quel palo in ghisa era una di quelle memorie che servivano per recuperare la forza di volontà della cittadinanza leccese di fine Ottocento, che è stata capace di voler cavalcare le onde del progresso al pari di altre metropoli europee, tant’è vero che i sindaci del tempo vedevano determinanti, ad esempio, un congiungimento con il mare e relativa bonifica verso la marina di San Cataldo; e per realizzare il tutto fu costruita una tranvia elettrica (che vinse anche una medaglia d’oro per essere la più lunga dell’epoca – 1888, tre vagoni in tutto, 12 metri di lunghezza totale).

La nuova illuminazione venne considerata dai nostri concittadini come un indice di civiltà e di progresso; e la nostra Atene pugliese non volle esser da meno delle altre sue consorelle italiane. La parola progresso applicata alle altre del secolo dei lumi correva allora sulle bocche di tutti ed era ripetuta sino alla noia sui giornali leccesi di quel tempo” (Cosimo De Giorgi, Numero Unico per le Feste Inaugurali del giugno 1898, Tipografia Editrice Salentina, fratelli Spacciante, 1898).

L’impianto a gas funzionò sino al 1898, quando durante l’amministrazione del sindaco Giuseppe Pellegrino, subentrò l’illuminazione elettrica.

a cura di Giovanni Greco (dalla sua tesi di laurea sull’illuminazione cittadina leccese dall”800 al ‘900)


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Ricerche a cura del dott Giovanni Greco;
dott in Conservazione dei Beni Culturali, con laurea in archeologia industriale, è studioso e autore di numerose ricerche sul Salento, Erasmus in Germania nel 1996, ha viaggiato per venti anni in Italia e in Europa, ha lavorato un anno in direzione vendite Alitalia nell’aeroporto internazionale di Francoforte, ha diretto per cinque anni la sezione web di un giornale settimanale cartaceo italiano a Londra, libero professionista, videomaker, artista raku, poeta, webmaster, blogger, ambientalista, presentatore, art director, graphic designer, speaker radio, giornalista freelance Internazionale iscritto presso l’agenzia GNS Press tedesca, collabora come freelance con diverse realtà sul web e sul territorio locale. Dal 1998 è direttore responsabile della rivista on line “BelSalento.com – arte, storia, ambiente, politica e cultura della Terra dei Due Mari – Servizi di Fruizione Culturale”.
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