L’Ordine cavalleresco dell’ermellino Ferdinando I d’Aragona 1463

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ricerche a cura del dott Giovanni Grecomedioevo

Ferdinando I d’Aragona e l’Ordine cavalleresco dell’ermellino “Malo Mori Quam Foedari”  “Meglio morire che essere disonorato”

L’Ordine cavalleresco dell’ermellino fu istituito da re Ferdinando I d’Aragona e dedicato a San Michele Arcangelo, Foggia 1465, col motto rinascimentale “Malo Mori Quam Foedari”  “Meglio morire che essere disonorato”. Il mezzo carlino fu accompagnata dal motto : serena omnia“tutto è tranquillo” e decorum “fa solo ciò che è giusto, onesto e decoroso”.

L’Ordine dell’Ermellino fu un ordine cavalleresco e monarchico istituito il 29 settembre 1465 da re Ferdinando I, il giorno di San Michele per ricompensare con un prestigioso titolo onorifico coloro che gli erano rimasti fedeli durante la guerra contro gli Angiò e la prima congiura dei baroni. Agli insigniti veniva conferito un collare d’oro con un ermellino per ciondolo, recante il motto latino malo mori quam foedari “preferirei morire piuttosto che essere disonorato”.

Re Ferrante con il collare dell’Ordine dell’Ermellino da lui fondato il 29 Settembre 1465

Il giorno della sua fondazione avvenne a seguito ad una visita alla grotta di San Michele Arcangelo a Foggia,

giacché l’ordine era dedicato a San Michele Arcangelo e, difatti, in tale giorno dell’anno dovevano svolgersi le solenni cerimonie, precedute alla vigilia dalla confessione e comunione dei cavalieri, che venivano insigniti di questa onorificenza proprio nel giorno di San Michele con le preghiere all’Arcangelo durante la messa per l’ascrizione dei nuovi Cavalieri. La propria devozione il re Ferrante l’aveva manifestata già durante la presa della città di Monte Sant’Angelo, meta da sempre di pellegrinaggio al noto santuario. Di quale fu il motivo per cui Ferrante decise di istituire l’Ordine dell’Ermellino.

Secondo il IX Capitolo dell’Ordine “El collare volimo sia fatto in questo modo cioè che tucto sia colligato de stipiti cioè tronconi de arbori in la cima de li quali siano inserti dui ramicelli li quali incomenzano ad buctare fronde et similmente de sedie, de le quali escano fiamme, per modo che siano collocate inseme cioè uno stipite et poi una sedia, et in questo modo sia composto tucto el collare; dal quale collare penderà avanti el pecto una imagine di arminio bianco de oro smaltato in bianco, a li piedi del quale sia uno breve con questa parola Decorum…”

Il Padiglione : pag. 169, cit.: “… L’abito del cavaliere era una veste di seta bianca e lunga fino a terra. Portava su di essa un lungo mantello di seta rossa stretto al collo, aperto al solo lato destro e foderato di armellino. Avevano i cavalieri il collare composto di rami e di sedie (sic) intrecciate fra loro. In cima dei rami sbucciavano delle frondi e dalle sedie uscivano delle fiamme. Pendeva poi dal collare sul petto la figura dell’armellino in bianco d’oro smaltato , ed ai piedi di esso un nastro su cui era scritto il motto: DECORUM…”.

Obblighi degli insigniti

Ermellino miniato nel manoscritto “Obiurgatio in calumniatorem divini Platonis” di Andrea Contrario

Gli obblighi principali del cavaliere insignito di tale onoreficenza erano la difesa della fede e della Chiesa di Roma, nonché il serbare inviolabile devozione al re e perseguire sempre onestà e giustizia. L’ordine fu posto sotto la regola di San Basilio. Ufficiali dell’ordine erano il superiore, carica ricoperta dal sovrano stesso, l’araldo o re d’armi e il segretario.
Il simbolo dell’ordine portato dai cavalieri era rappresentato da una collana con le maglie d’oro formate dal trono infuocato alternato a tronchi germoglianti e un pendente costituito da un ermellino d’oro smaltato di bianco, con la scritta “decorum”.

La dignità magistrale passò agli Austriaci prima che l’ordine fu si estinguesse. Il numero dei cavalieri fu fissato in 27, tra di essi, tutti fedelissimi alla difesa della Chiesa di Roma e alla devozione al Re, vi furono tra i più cospicui baroni del Regno, condottieri e capitani di ventura del tempo, che furono beneficati ad esempio tramite l’attribuzione di uno o più feudi, la creazione di titoli, il ricoprire importanti uffici. Non mancarono importanti signori di Stati alleati. L’ordine si sciolse silenziosamente con la scomparsa della dinastia aragonese di Napoli. Tuttavia il suo ricordo continuò a circolare per alcuni decenni dopo l’arrivo degli spagnoli grazie alle “Armelline“, monete d’argento del valore di mezzo carlino fatte coniare per l’occasione da Ferrante e che furono riedite con nuovi coni – leggermente modificati – anche da Alfonso II e Ferdinando II.

Quest’esemplare venne battuto a Lecce come riporta al rovescio la scritta LICI clicca qui

Quale fu il motivo per cui Ferdinando decise di istituire l’Ordine dell’Ermellino vi sono solo congetture, ma lA più accreditata ritiene che l’Ordine fosse instaurato per premiare e legare ulteriormente a sé i baroni rimasti fedeli al sovrano dopo la congiura terminata proprio nel 1465 (G.M.Fusco, “Sull’Ordine dell’Armellino”, Napoli 1844).
Le altre :
– a suggello di un atto di clemenza – se mai vi fu – nei confronti di Marino Marzano uno dei principali capi della “prima congiura dei Baroni”, che si era spinto sino al tentativo di commettere un attentato a Ferrante presso Torricella di Teano;
– 
a testimonianza del generoso perdono, attraverso un’amnistia generale, nei confronti dei baroni ribelli durante quella che viene considerata la prima congiura dei baroni;
– a sublimazione delle virtù della nuora, Ippolita Sforza.

Vi sono varie ipotesi anche sulla simbologia dell’ordine. L’ermellino ha una doppia valenza, di onorificenza e di impresa, in quanto simbolo di purezza e incorruttibilità; circondato da un cerchio di sudiciume, preferisce morire anziché imbrattare il candore della propria pelliccia, come l’uomo onesto vuole sempre mantenere la propria purezza intatta anche a prezzo della morte. La scelta dell’ermellino (collegato al motto “Malo mori quam foedari”, “Meglio morire che essere disonorato”) sarebbe legata al significato simbolico dell’animale che, con il suo manto candido, rappresenterebbe la purezza e l’adesione agli ideali cavallereschi, a ricordare la decisione del sovrano di perdonare i suoi nemici e non macchiarsi del sangue dei baroni ribelli e traditori.

Secondo altri il colore bianco dell’ermellino potrebbe rappresentare la purezza di Ippolita Maria Sforza.

Leonardo da Vinci, Dama con l’ermellino, Museo Czartoryski, Cracovia, 1488-1490. La dama ritratta è Cecilia Gallerani, amante di Ludovico il Moro, duca di Milano, che nel 1488 fu insignito dell’Ordine dell’Ermellino. Il dipinto può essere considerato un riferimento all’onorificenza a lui conferita.

Il motto che anima la figura allegorica, non mai numquam, allude proprio all’impossibilità di trascurare il perseguimento di onestà e virtù. L’emblema si ritrova anche accompagnato da un altro motto, decorum, citato all’interno dello statuto dell’Ordine dell’Ermellino (I Capitoli dell’Ordine dell’Armellino, pp. 17, 33, 34; De Marinis, La biblioteca napoletana, I, p. 134; Conti, L’ordine napoletano dell’ermellino, pp. 205, 212-213).

L’Ordine dell’Ermellino fu il simbolo dell’unione tra il Regno di Napoli e il Ducato di Milano.

Cosa si cela alle origini della Dama con l’ermellino di Leonardo da Vinci?

Ludovico Sforza duca di Bari dal 1479 detto il Moro, ambiva al decoro dell perchè desiderava essere riconosciuto duca di Milano al posto del nipote Gian Galeazzo Maria Sforza. Quando ricevette la suddetta onorificenza per l’aiuto dato a Ferrante d’Aragona nel reprimere la congiura dei baroni, il Moro, per celebrare la prestigiosa nobilitazione, commissionò a Leonardo da Vinci il dipinto della Dama con l’ermellino, raffigurante probabilmente la nobile milanese Cecilia Gallerani, sua amante, col selvatico animale in grembo, pure simbolo di purezza. La Dama con l’Ermellino è uno dei dipinti più belli e raffinati della storia dell’arte, ritratto delle dinamiche del Rinascimento fra gli Aragona a Napoli e gli Sforza a Milano, testimoniandone gli intrecci fra amore, potere e tradimento. Oscurata solo dalla fama della sorella GiocondaLa Dama con l’Ermellino è la prediletta fra i critici e gli intenditori, che vedono in lei una grazia, una delicatezza e una maestria maggiore rispetto alla celebre Monnalisa. In nome del legame politico Napoli-Milano, a Gian Galeazzo Maria Sforza fu data in sposa Isabella d’Aragona, nipote di Ferrante. Ma quando Ludovico usurpò il ruolo ducale di Gian Galeazzo, costrinse Isabella a trasferirsi a Pavia, pregiudicando l’alleanza tra Napoli e Milano. Isabella richiese l’intervento del nonno Ferrante, che finì col revocare il collare dell’Ordine dell’Ermellino e col rompere l’unione con il ducato lombardo.

L’ermellino il mezzo carlino di Ferdinando I d’Aragona 1465 ca


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a cura del dott Giovanni Greco;
dott in Conservazione dei Beni Culturali, con laurea in archeologia industriale, è studioso e autore di numerose ricerche sul Salento, Erasmus in Germania nel 1996, ha viaggiato per venti anni in Italia e in Europa, ha lavorato un anno in direzione vendite Alitalia nell’aeroporto internazionale di Francoforte, ha diretto per cinque anni la sezione web di un giornale settimanale cartaceo italiano a Londra, libero professionista, videomaker, artista raku, poeta, webmaster, blogger, ambientalista, presentatore, art director, graphic designer, speaker radio, giornalista freelance Internazionale iscritto presso l’agenzia GNS Press tedesca, collabora come freelance con diverse realtà sul web e sul territorio locale. Dal 1998 è direttore responsabile della rivista on line “BelSalento.com – arte, storia, ambiente, politica e cultura della Terra dei Due Mari – Servizi di Fruizione Culturale”.
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