Il toponimo “Plao”, richiama il toponimo “Paliceddha”, (italianizzato in Palicella) presente non lontano, in feudo di Maglie, e che di origine griko-salentina, vuol dire piccola “plaka”, piccolo dolmen. La “plaka”, che diventa nel dialetto romanzo salentino, “chianca”, è la lastra di pietra, che puo pertanto, passare ad indicare la tavola di pietra e quindi il dolmen. così a Maglie un grande dolmen è chiamato proprio “Chianca”, come il toponimo della particella in cui insiste, in contrada Poligarita, e un dolmen a Melendugno è chiamato dai locali “Plaka”, in dialetto. La radice “Pla-”, echeggia la radice dei termini greci “Platea”, spazio ampio, di “Platano”, il nostro albero mediterraneo autoctono (il Platanus orientalis) dalle ampie foglie, e in contrada Plao tanto la presenza delle ampie lastre dei dolmen, quanto l’ampia distesa di nuda levigata superficie spianata di roccia calcarea carsica, dove vi erano i megaliti e che ebbi il privilegio di contemplare intatta e scoperta, ben si accordano con il toponimo griko-salentino “Plao”. Il podere Plao, era diviso nel 1993 tra due parenti, di una famiglia di Corigliano, e la porzione più grande nella parte alta della Serra, dove vi erano i due “Dolmen Caroppo”, era chiamato “Plao mea”, in griko “mea”, dal greco “mega”, che vuol dire “grande”; la porzione più piccola posta lungo le pendici terrazzate della Serra, bordata dalla strada antica Maglie-Corigliano, era chiamato “Plao mincio”, dal dialetto locale “mincio”, che vuol dire “piccolo”. L’appezzamento più devastato è stato proprio il “mea”, mentre il “mincio” è tenuto dai suoi proprietari con ben maggiore cura e rispetto per il paesaggio storico-naturale locale! Quando mi avvicinai, nel 1993, con metro, taccuino, penna, bussola e macchina fotografica per rilevare il sito, incontrai l’anziano contadino del fondo “mincio”, che fu ben lieto di condurmi nella proprietà adiacente del parente per farmi vedere i dolmen, quelle “taule de petra”, tavole di pietra, come il trullo presente nel “mea”, ma poi anche il bel trullo presente nel suo fondo, e i terrazzamenti, il lavoro degli avi mi diceva, e poi che forza da giganti, mi diceva, i nostri antenati nel costruire il grande dolmen, e mi mostrava fiero le sue grandi lastre orizzontali molto spesse, “quante persone per sollevarla!? Quanto lavoro e ingegno gli antichi!”, ma l’unico uso che lui aveva visto dai suoi padri per quelle tavole di pietra era fungere da superfici secche su cui seccare al sole d’estate i fichi, per far provviste dolci per l’inverno … quelle pietre enigmatiche avevano trovato un riciclo, un riuso, nella civiltà contadina, ed erano state così rispettate al contempo nel loro enigmatico arcaico mistero, ne avevano aguzzato la fantasia e spinto a simulazioni, laddove possibile, con lastre di pietra però meno mastodontiche di quelle, come nel sedile realizzato vicino al trullo del fondo “mea”!!! Oreste Caroppo, 25 novembre 2012 Foto di Oreste Caroppo del 1993
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dott in Conservazione dei Beni Culturali, con laurea in archeologia industriale, è studioso e autore di numerose ricerche sul Salento, Erasmus in Germania nel 1996, ha viaggiato per venti anni in Italia e in Europa, ha lavorato un anno in direzione vendite Alitalia nell’aeroporto internazionale di Francoforte, ha diretto per cinque anni la sezione web di un giornale settimanale cartaceo italiano a Londra, libero professionista, videomaker, artista raku, poeta, webmaster, blogger, ambientalista, presentatore, art director, graphic designer, speaker radio, giornalista freelance Internazionale iscritto presso l’agenzia GNS Press tedesca, collabora come freelance con diverse realtà sul web e sul territorio locale. Dal 1998 è direttore responsabile della rivista on line “BelSalento.com – arte, storia, ambiente, politica e cultura della Terra dei Due Mari – Servizi di Fruizione Culturale”.
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