Carlo I d’Angiò (1266-1282) Denaro del 1267 con Giglio fiorentino, moneta coniata a Brindisi o a Messina

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ricerche a cura del dott Giovanni Greco

Carlo I d’Angiò (1266-1282) Denaro del 1267 con Giglio fiorentino, moneta coniata a Brindisi o a Messina

 

Denaro, 1267 di Carlo I d’Angiò (1266-1282) Dritto + K DEI GRACIA.Giglio fiorentino tra due globetti. Rovescio + REX SICILIE. Croce patente con quadrato nel mezzo, accantonata da quattro stelle a sei punte — (collezione privata del dott Giovanni Greco)

Questa tipologia di denaro venne coniata nel 1267 quando Carlo ottenne la signoria di Firenze.

Questa minuscola monetizzazione fu emessa nel 1267 in Italia meridionale durante i primi anni di regno di Carlo I d’Angiò come Re di Sicilia (1266-1282).
Dritto + K DEI GRACIA.
Giglio fiorentino tra due globetti.
Rovescio + REX SICILIE.
Croce patente con quadrato nel mezzo, accantonata da quattro stelle a sei punte.



Dritto + K DEI GRA REX SICIL.
Croce patente accantonata da quattro gigli.
Rovescio + DVCAT APVL PRIC CAPVE.
Giglio fiorentino con due globetti sottostanti.
Denaro in mistura databile al primo periodo (1266-1278) della zecca di Messina.
Cfr. SPAHR, Op. cit., manca e MEC 14, p. 676, n° 656-658/658ADi questo stesso tipo esistono anche dei multipli di denaro (per questa dicitura e per il suo utilizzo in questo caso specifico si rimanda a MEC 14, p. 201) classificati in MEC 14, p. 676, n° 654-655.

Questi denari sono una tipologia monetarie angioina del Sud Italia, databili al primo periodo (1266-1278) di zecca incerta tra Brindisi o Messina. (Cfr. R. SPAHR, Le monete siciliane dai Bizantini a Carlo I d’Angiò (582-1282), vol. I, Zurich-Graz 1976, p. 230, n° 25 e MEC 14, p. 674, n° 632) e  fu coniato nel 1267 quando Carlo ottenne la signoria di Firenze.

Anche queste monete le ho acquistatae dalla Phil Coins Collector SRLS e il motivo è che per arricchire la mia collezione numismatica, ero incuriosito dal particolare araldico rappresentato dal giglio. Ma in entrambe, quell’elemento iconografico è riferibile al giglio fiorentino.

Il giglio è considerato da sempre l’emblema della monarchia francese e della dinastia angioina. Ma qui non deve essere confuso con quello fiorentino, da cui si differenzia per la mancanza dei pistilli laterali. Quindi in questo denaro di Carlo I d’Angiò è effigiato un giglio fiorentino e non il “classico” fiordaliso francese, nonostante sia una moneta che probabilmente non circolò mai in Toscana. I primi anni di regno di Carlo, tra il 1266 ed il 1268, Carlo I li dedicò al consolidamento della sua posizione politica prima al di fuori dei confini del regno. I Ghibellini, in Italia settentrionale ed in particolare in Toscana, capeggiati da Guido Novello, avevano unito le proprie forze con quelle dei sostenitori svevi con la speranza di riuscire a contrastare il partito avverso dei Guelfi, i quali, al contrario, chiamarono in loro aiuto le truppe di Carlo I. Probabilmente i denari ed i presunti multipli ricorderebbero le felici gesta fiorentine di Carlo I in quasi tutta la Toscana nel corso del 1267.


Gli anni della dominazione angioina a Brindisi 1266-1343, sono definiti della “prima età angioina”, epoca densa di frequenti e interessanti costruzioni civili e religiose. Carlo mantenne in vita la monetazione sveva, ma a partire dal novembre 1266 ordinò alle zecche di Messina e Barletta, da lui create, di coniare «reali» e tarì d’oro (AD 1266 – 1282). Il reale era una moneta d’oro identica per titolo e peso all’augustale di Federico II. Qualche anno dopo ordinò anche alla ripristinata zecca di Brindisi di coniare le monete d’oro, come  “il reale d’oro”.  La zecca di Brindisi  fu rimessa in attività da Carlo al posto di quella di Manfredonia e di Messina, con una tipologia sempre diversa onde poterli facilmente distinguere da quelli dell’anno precedente, che venivano automaticamente aboliti (A. Sambon, Dispense senza data e senza luogo di stampa, Angioini, p. 131). I denari prodotti dalla zecca di Brindisi sotto Carlo I d’Angiò venivano distribuiti in continente «a Porta Roseti usque ad fines Regni» e quelli di Messina in Sicilia e nel resto della Calabria «a pharo citra usque ad Portam Roseti» (A. Sambon, op. cit., p. 128, nota 3). Nella emissione dei denari, è da notare che, anche nella tipologia, Carlo d’Angiò imitò quella precedente; così, in una delle prime emissioni, continuò l’uso introdotto da Manfredi di indicare sulle monete la regione amministrativa del Regno nella quale dovevano essere distribuiti e circolare; «Apul» o «Sicil», o sostituendo all’aquila, emblema degli svevi, i gigli angioini. Cfr : https://www.panorama-numismatico.com/wp-content/uploads/Un-inedito-denaro-siciliano-di-Carlo-I-dAngio.pdf


Carlo I ingiunse che da Porta Roseto sino ai confini del Regno non si poteva spendere altra moneta all’infuori di quella coniata nella Zecca di Brindisi. I trasgressori sarebbero stati multati di dodici once d’oro e gli insolvibili dovevano essere marchiati sulla fronte con la figura della moneta proibita.


All’epoca angioina la Zecca di Brindisi deve essere stata essere attivissima perchè riusciva a battere sino a 42 mila libbre all’anno di sole monete d’oro. Molto probabilmente gli “zecchieri” dovevano essere molto esperti, in quanto erano richiesti ed inviati presso le altre aurificine del Regno. Considerando una media di due nuovi tipi di denaro emessi ogni anno dalle due zecche sopracitate, per il periodo di 13 anni compresi tra il 1266 ed il 1278, ci sono stati 26 tipi diversi di monete, non semplici varianti. Secondo Michele Guglielmi (La monetazione degli Svevi nell’Italia meridionale, pag. 240) quando con l’ordinanza del 15 novembre 1266 fu aperta la zecca di Barletta, come succursale di Brindisi, da quest’ultima furono distaccati alcuni monetieri per la coniazione di monete d’oro, e precisamente Ruggero d’Amato o Filippo Maresca, barlettesi. Mentre nel 1278 fu ordinato agli zecchieri brindisini Sergio Serano, Andrea Bonito e Goffredo Buchinato di mandare a Castel dell’Ovo di Napoli, alcuni fonditori di oro, un incisore di conii, un battitore di monete piccole e un monetiere. Nell’anno seguente furono richiesti altri 18 zecchieri ed altri 14 nel 1284. Capi operai della Zecca brindisina furono, inoltre, richiesti dal re per recarsi a Clarenza, ove si recarono, infatti, con 1600 libbre di bolzonaglia (Insieme di monete messe fuori uso, vendute a peso e a valore di metallo), per coniare i nuovi piccoli tornesi. (abstract da: Il porto di Brindisi, di V.A. Caravaglios – Napoli 1942)


Estratto da “LA CIRCOLAZIONE MONETARIA nel SALENTO All’EPOCA DI CARLO I e CARLO II D’ANGiO’ a cura di ANGELICA DE GAS(PERI”

Il flusso monetale al tempo di Carlo I d’Angiò (1266-1285)
Cfr : https://www.academia.edu/

La pressante ed articolata politica economica e fiscale che Federico II aveva realizzato in italia meridionale, aveva contribuito a modificare radicalmente il quadro monetario che egli aveva trovato al suo ritorno dalla Germania (Cfr. Powell 1962, pp. 453 ss.; Del Treppo 1996, pp. 316-338) e, durante gli ultimi anni del suo regno, la moneta aveva cominciato ad avere un peso sempre maggiore nell’economia quotidiana salentina. Questo ruolo si intensificò negli anni successivi alla sua morte quando, decadute le norme restrittive imposte dall’imperatore (sulle restrizioni di Federico II cfr. Sambon 1896, pp. 338-340; Travaini 1993, p. 106), iniziarono ad affluire nel Salento i denari provenienti dalla Grecia franca. L’attività economica della regione aveva in seguito acquistato forza grazie alla riapertura della zecca di Brindisi, nel 1256 (Cfr. MEC 1998, p. 189.), ed all’istituzione delle nundinae locali di S. Leucio, nel 1264 (Cfr. Vetere 1993, p. 443), e le ripercussioni di queste iniziative possono essere colte nella capillare diffusione sul territorio di monete di piccolo taglio dal basso contenuto di fino. Al suo avvento nel Meridione, il governo angioino poté dunque giovarsi di una ormai radicata agilità degli scambi che concorse ad aumentare il volume di moneta circolante, sia di quella locale che di quella introdotta dalla Grecia. Per l’epoca di Carlo I d’Angiò è documentato nel Salento un cospicuo numero di monete in mistura prodotte nel Regno di Sicilia. Si tratta soprattutto di coniazioni battute nella zecca locale di Brindisi cui, negli anni intercorrenti tra il 1266 e il 1278 *, era affidato il compito di provvedere al fabbisogno monetale del Regno escluso dal raggio della zecca di Messina, la quale si occupava invece della distribuzione di moneta spicciola in Sicilia e in Calabri.
Grazie all’annuale distribuzione coatta di denari prevista dall’autorità emittente (Cfr. MEC 1998, p. 7.), è stato possibile raccogliere nel Salento un interessante campionario della grande varietà di tipi emessi da Carlo I d’Angiò (SPAHR 1976, pp. 223-224; MEC 1998, pp. 201-205). Queste monete, in genere di pessima qualità, sono frequentemente irregolari nella forma e, contrariamente alle rigide disposizioni date dal re, presentano spesso i margini tagliati.

(…) la circolazione di queste monete coinvolgesse pressoché l’intero territorio salentino, concentrandosi nelle zone di Brindisi ed Otranto e nell’entroterra delle due città portuali. Esse non compaiono mai in contesti tesaurizzati ma la loro distribuzione all’interno dei vari siti (…) sembra essere piuttosto omogenea; si può tuttavia individuare una maggiore densità di ritrovamenti nella parte meridionale della penisola con presenze superiori alla media ad Otranto, quindi nei casali di Apigliano e di Quattro Macine e nelle località poste lungo la via Appia, come Mesagne e S. Donaci.
La riforma voluta da Carlo nel 1278 (con questa riforma Carlo I istituì una nuova zecca a Castel dell’Ovo a Napoli; questa doveva sostituire quelle fino ad allora attive nel Regno di Sicilia ed essere addetta all’emissione delle monete introdotte ex novo da Carlo: cfr. MEC 1998, pp. 25, 31, 205; TRAVAINI 2007, pp. 65, 71, 174), che decretò la sospensione della coniazione di denari, sortì l’effetto di dare un forte impulso all’afflusso di quelli della Grecia franca. Nel momento in cui la parte più orientale dell’Italia meridionale veniva privata della zecca che le garantiva la distribuzione di monete di piccolo taglio, l’importazione dei tornesi aumentò repentinamente al punto che questi, a poco a poco, divennero il circolante caratteristico della terraferma del Mezzogiorno e già all’epoca di Carlo II avrebbero rappresentato l’unico circolante monetato del Salento. Infatti, nonostante che nel 1280 Carlo desse l’ordine che in Italia meridionale potessero circolare solo le monete coniate nel Regno, incluse quelle d’oro, egli consentì che, al fine di evitare delle perdite al fisco, fossero ivi ammesse per il pagamento delle tasse alcune valute straniere, come i grossi tornesi, gli stirlingos (sterline inglesi), i grossi di Venezia **, i miliarenses nordafricani ed i denari tornesi di varie zecche francesi e di Clarenza ***


* Cfr. i cinque denari di Martano, località Apigliano, inediti, dagli scavi 1997-2000 eseguiti sotto la direzione del prof. P. Arthur della Facoltà di Beni Culturali di lecce; un accenno ad uno dei denari si trova in Arthur, Bruno 2009, p. 33; un altro denaro proviene dalla chiesa di S. Lorenzo a Martano – Apigliano (Arthur, Leo Imperiale 2009, p. 324); si vedano inoltre i tre denari di Giuggianello, località Quattro Macine, inediti, dagli scavi 1991-1996 del prof. P. Arthur; cinque denari di otranto (Travaglini 1992, p. 262 nr. 251-256), due di Mesagne, Masseria Muro (EAD. 1990, pp. 301, 303 nr. 120); uno di Mesagne, Masseria Campistrutto (IBID., p. 303 nr. 119); un altro di Mesagne, la Conca (IBID., p. 304 nr. 121), tre provenienti da Santi Donaci, inediti; uno dalla zona fra S. Donaci e Cellino S. Marco, inedito; due da Cutrofiano, località li Castelli, inediti; uno conservato nella Collezione Civica del Museo Provinciale “F. Ribezzo” di Brindisi, nr. inv. 5639, inedito; uno conservato nel Museo Civico di Gallipoli (EAD. 1978, p. 225; EAD. 1982, p. 66 nr. 186); due sequestrati a Squinzano dalla Guardia di Finanza di Lecce (sequestro Palma), inediti; tre provenienti da Valesio, località S. Stefano (BOERSMA 1995, p. 328

**  Come si apprende dal decreto, le monete che potevano liberamente circolare nel Regno erano rappresentate soprattutto dalla cosiddetta ‘moneta grossa’ che era essenzialmente usata da un ristretto gruppo di persone per operazioni di alta finanza e di commercio internazionale. Carlo d’Angiò si serviva ad esempio ampiamente dei grossi veneziani per i pagamenti della sua amministrazione e per finanziare le imprese militari in Morea (SCHLUMBERGER 1954, p. 294), ma di grossi veneziani non si faceva un uso normale nei mercati delle città del Regno. Sembra dunque che la moneta straniera fosse spesso utilizzata per il pagamento delle imposte. Questa considerazione è molto importante per una valutazione corretta delle fonti: di fronte ai registri di imposte bisogna ricordare che la moneta data in pagamento poteva non essere quella più usata “internamente” (TRAVAINI 1999, p. 125). Sulla circolazione di moneta grossa e moneta minuta nel bassomedioevo si veda CIPOLLA 1957, p. 27

*** “De inibitione monetarum … quod nulli in partibus ipsis aliquas alias monetas expenderent seu reciperent nisi tantum aurum et monetas aureas bonas et rectas cuiuslibet speciei et monetas nostras que laborantur et fiunt in siclis nostris in faciendis commerciis seu mercatoribus quibuscumque … item iniunximus ut eodem modo publice faceret inhiberi ut nulli expenderent aliam monetam auream cuiscumque speciei existerent nisi pro auro rupto preter quam carolenses augustales et tarenos aureos bonos et rectos … quia firmi propositi nostri erat et est inhibicionem ipsam tenaciter observare debere … item, per alia duo mandata tibi subsequenter directa subiunximus ut quia si huiusmodi monetas prohibitas per eum et collectores subvenctionum nostrarum et cuiuscumque alterius fiscalis pecunie non reciperentur fideles nostri qui non haberent aurum tarenorum carolenses et augustales de quibus Curie nostre satisfacere possent, de eo in quo nostre Curie tenerentur valde dapnificarentur et recollectionem ipsius fiscalis pecunie prorogarent in Curie nostre dapnum huius monetas prohibitas tam argenti quam auri a quibusque ipsas assignare volentibus sive pro generalibus subventionibus et collectis vel alio fiscali debito reciperent recepi facerent at rat. subscriptam videlicet: tornenses grossos ad pondus marche at rat. De XXX tar. Duobus per marcam, stirlingos ad rat. de tar. XXXi, venetos et miliarenses ad rat. de tar. XXXii et medio per marcam et tornenses parvos de tursia, Provincia, tolosia, Pictavia, Andegavia et Clarentia ad rat. de tarenis Xii pro qualibet libra in pondere …”. FIlANGIERI ET ALII 1950-93, XXII (1969), nr. 153. si vedano inoltre MEC 1998, p. 407 e TRAVAINI 1999, pp. 124-125.

https://www.academia.edu/1532674/La_circolazione_monetaria_nel_Salento_allepoca_di_Carlo_I_e_Carlo_II_dAngi%C3%B2

Carlo I d’Angiò (1226 – 1285)

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dott in Conservazione dei Beni Culturali, con laurea in archeologia industriale, è studioso e autore di numerose ricerche sul Salento, Erasmus in Germania nel 1996, ha viaggiato per venti anni in Italia e in Europa, ha lavorato un anno in direzione vendite Alitalia nell’aeroporto internazionale di Francoforte, ha diretto per cinque anni la sezione web di un giornale settimanale cartaceo italiano a Londra, libero professionista, videomaker, artista raku, poeta, webmaster, blogger, ambientalista, presentatore, art director, graphic designer, speaker radio, giornalista freelance Internazionale iscritto presso l’agenzia GNS Press tedesca, collabora come freelance con diverse realtà sul web e sul territorio locale. Dal 1998 è direttore responsabile della rivista on line “BelSalento.com – arte, storia, ambiente, politica e cultura della Terra dei Due Mari – Servizi di Fruizione Culturale”. BelSalento è un progetto a cura del dott Giovanni Greco

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