VERETO – PATU’ LE CENTOPIETRE E I MESSAPI di Giuliana Lubello

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Su ricerche di Giuliana Lubellomedioevo

VERETO – PATU’ LE CENTOPIETRE E I MESSAPI

Vereto,

centro messapico identificato con la mitica Hyrie (la città madre della Iapigia secondo lo storico greco Erodoto), sorgeva su un altopiano a 140 metri s.l.m., lungo il percorso della via Sallentina. La città di Vereto, fu in assoluto il primo centro ad essere fondato dai Messapi sull’omonima collina ubicata nell’attuale territorio di Patù.
Fu un’antichissima e florida città messapica ed è convinzione generale degli studiosi che l’antica città di Iria corrisponda a Vereto.
La chiesa della Madonna di Vereto venne edificata agli inizi del XVII secolo dal Principe Zunica, Signore di Alessano. Sorge nel punto più alto della Serra di Vereto corrispondente all’acropoli della città messapica. La chiesa presenta una semplice facciata; gli unici elementi decorativi sono rappresentati da una croce e dal piccolo campanile a vela posti sulla sommità. L’interno, a navata unica rettangolare, conserva le tracce degli affreschi seicenteschi che ricoprivano interamente le pareti. Interessante è l’iconografia di san Paolo raffigurato con una spada intorno alla quale sono attorcigliati due serpenti; ai piedi del santo vi è uno scorpione sormontato da due serpenti intrecciati a forma di caduceo.
E’ certo che tale città diventò famosa nell’antichità in tutto il bacino del Mediterraneo, nel periodo di massimo splendore era difesa da mura solide lunghe più di 4 Km. e dominava su di un’area che abbracciava anche Leuca e la vicina località marittima di S. Gregorio: nella baia di S. Gregorio Vereto costruì un comodo porto, i cui resti possono essere ammirati sul fondo del mare, a 7 metri di profondità, proprio di fronte alla punta rocciosa che protegge l’insenatura dalle mareggiate di scirocco.
Altre testimonianze veretine superstiti a S.Gregorio sono una scalinata messapica e l’imboccatura di un pozzo che un tempo riforniva di acqua fresca le navi.
Nel III secolo a.C., quando il Salento venne conquistato da Roma, Vereto diventò un municipio; ancora oggi nella chiesa di S. Giovanni Battista a Patù, a sinistra di chi entra, è conservato un grosso blocco di marmo, un cippo romano sulla cui facciata c’è un iscrizione in latino. Nel 1523, fu necessario un intervento di restaurazione per opera del Monsignore Acquavia di Alessano. Di questo intervento si fa menzione nella lapide sulla facciata della Chiesa:

“Praesidio diu hic Carolus rex agmine multo
Viribus afflixit mauria bella duceùTum struxit templum ad sancti decus ipse
Joannis”

Qui Re Carlo con lungo presidio di forte esercito
Terminò le guerre coi mori mentre era duce (Geminiano)
Allora costrui egli stesso il tempio in onore di San Giovanni.

La posizione strategicamente ottimale permetteva ai suoi abitanti di controllare l’intera pianura sottostante che da Torre Vado si stende sino a Santa Maria di Leuca e un’ampia area compresa tra gli odierni centri urbani di Montesardo e Castrignano del Capo.
Le ricerche archeologiche e i rinvenimenti fortuiti, effettuati nel territorio, hanno consentito di ricostruire la sua articolata storia insediativa d’età iapigio-messapica, a partire dalla prima età del Ferro fino alla romanizzazione del Salento, quando la città divenne municipium.
La presenza di ceramica d’impasto dell’età del Ferro e il rinvenimento di resti di capanne attestano una frequentazione a partire dal IX sec. a.C. La fase arcaica è documentata da frammenti di ceramica di produzione locale e da alcune iscrizioni in lingua messapica, incise su cippi in calcare provenienti da contesti funerari.

15170926_339286243111571_4268566728854383410_nIn età ellenistica l’area dell’insediamento venne cinta da mura in grandi blocchi isodomi di calcare. Il tratto maggiormente conservato è visibile, per un’altezza massima di quattro filari, in corrispondenza del limite sud-occidentale dell’abitato antico. I blocchi di calcare sono messi in opera alternativamente di testa e di taglio, secondo una tecnica costruttiva già nota in ambito messapico. Alcune indagini archeologiche, effettuate lungo la via vicinale Usca Pagliare, hanno riportato alla luce parte delle imponenti fondazioni della cinta muraria. Si tratta di un muro pieno largo circa 4 metri, costituito da tre file di blocchi squadrati posti di testa e di taglio; lo spessore e la lunghezza dei blocchi risultano costanti (m. 0,32 x 1,57), la larghezza varia dai m. 0,90 dei blocchi di taglio ai m. 0,50 dei blocchi di testa. Le mura cingevano una superficie di 145 ettari, al cui interno si sviluppavano nuclei di abitato alternati a zone libere, destinate all’agricoltura e al pascolo.
Nell’area archeologica veretina si rinvengono numerosi blocchi, spesso riutilizzati nei muri a secco, e strutture ancora parzialmente interrate, che potrebbero appartenere a edifici messapici costituiti dai tipici ambienti a pianta quadrangolare con fondazioni in blocchi squadrati, alzato in spezzoni lapidei e copertura in tegole.

LE CENTOPIETRE

E’ una singolare costruzione di forma rettangolare composta da cento grossi blocchi tufacei squadrati e situata proprio di fronte all’ingresso principale della chiesa di San Giovanni Battista in Patù. Nel 1873 è stata dichiarata Monumento nazionale di seconda classe.
15193537_339286766444852_3024534615697372550_nQueste le dimensioni: lunghezza mt. 7.20, larghezza mt. 5.50, altezza mt. 2.60. La copertura è a due spioventi. Due attualmente gli ingressi, uno sul fronte sud e l’altro sul fronte est. La Centopietre è un monumento del IX secolo d.C., però è stato realizzato con monoliti risalenti a Vereto, ovvero con materiale di spoglio di questa antica città messapica. All’origine la Centopietre fu una tomba senza accessi, un monumento funebre, un heroon. Infatti con tutta probabilità venne costruita per accogliere le spoglie mortali del barone Geminiano, qui il nobile cristiano venne barbaramente trucidato, scatenando così la famosa battaglia del mitico 24 giugno 877, giorno appunto dedicato a S. Giovanni Battista. In questo scontro i Cristiani ebbero la meglio e riuscirono a strappare ai Saraceni il Corpo dell’infelice Geminiano. La Centopietre, così, sarebbe stata costruita in quell’occasione per dare degna sepoltura al martire cristiano. La forma della costruzione ricorda le tende da campo delle milizie francesi che, di fatto, in quella occasione aiutarono a sconfiggere i mori.15179021_339286369778225_2937704197539493363_n
Alcuni secoli dopo, tra il XIII e il XIV secolo, l’heroon è stato trasformato in thémenos cristiano, luogo di preghiera e di meditazione. A questi stessi secoli risalgono gli affreschi in stile bizantino eseguiti sulla parete interna ovest e dei quali ormai restano solo pallide tracce.
Così, Pino Aprile nel suo libro Terroni, parla di Patù: “una città le cui fondamenta sono state edificate sul sangue degli abitanti di Vereto, messa a ferro e fuoco dalla truppe di Carlo Magno dopo un primo assedio da parte dei saraceni. Le pietre che costituivano parte integrante della cinta muraria, ormai inutile, venero trasportate a valle (sul capo da donne forzute secondo una leggenda locale) dalla collina sulla quale si trovavano, e vennero reimpiegate per l’edificazione di un monumento funebre che tanto ancora fa discutere e confondere: la storia di nessun altro luogo è così ricca dei più disparati retroscena, smentite, ed errori clamorosi“.

I MESSAPI

Un popolo veramente misterioso, questi Messapi. Non si sa innanzitutto da dove siano giunti. Secondo alcuni sono una popolazione dell’Illiria, altri sostengono siano comunque un popolo ellenico, altri ancora, basandosi sui riscontri letterari, sostengono siano Cretesi, come dimostrerebbe la loro modalità civilizzatrice per così come si sviluppò nel Salento.
Ciò che è certo è che furono un popolo estremamente religioso, attaccato al culto dei defunti in maniera così devota da conferire alle proprie massime due divinità, Tiotor Andrilao e Bama, il dominio dei cieli, del mare e dell’oltretomba.
Le testimonianze archeologiche che nel Salento rimangono dei Messapi riguardano infatti il particolare modo col quale questi usavano seppellire i propri morti, in enormi sarcofagi di carparo, come quelli che sono conservati nel museo civico di Gallipoli. L’inumazione, pratica funeraria già diffusa nel Salento in epoca pelasgica, fu dai messapi riadoperata secondo canoni tipicamente indoeuropei: all’interno dei sarcofagi, molto grezzi e squadrati, essenziali nella forma come nel messaggio di eternità che da essi doveva promanare, era inciso il nome del defunto, che veniva sepolto con tutte le suppellettili che gli sarebbero state utili nel regno dei morti. I guerrieri ed i re, venivano sepolti con indosso le loro armature, le spade, le trozzelle istoriate con figure prevalentemente geometriche e con gli amuleti ed i tesori che sarebbero stati essenziali per affrontare il difficile viaggio dell’anima nell’aldilà.
Ad accogliere l’anima del defunto i due monarchi della terra, dei mari e dei cieli, erano Bama e Tiotor Andrilao (o Taotor Andrilabas), ai quali era associato un politeismo nel quale altre divinità compartecipavano al governo delle forze naturali e soprannaturali. Tra di esse Thana, dea della luna e delle foreste, Batas, il dio della folgore, e Bes (o Besa), la divinità c15135911_339286719778190_6157832913618219664_nhe soprintendeva alla protezione della malasorte, sul modello della quale sarà poi costruita la figura dello “Scazzamurieddhu” (o “Lauru” lo gnomo dispettoso di tanti racconti della cultura contadina). Bes era infatti un ometto pelato, basso e pingue, barbuto e con le gambe storte, del quale vi sono raffigurazioni sui reperti conservati presso il Museo “Castromediano” di Lecce. Bes era invocato non solo come protettore dalla malasorte ma anche come nume tutelare della fertilità data la sua natura itifallica, venendone riprodotta la figura in corrispondenza dei crocicchi ed all’ingresso dei fondi.
La sede del culto di Tiotor Andrilao e di Bama era la Grotta della Poesia, presso Roca Vecchia, una delle prime località, come testimoniano evidenze archeologiche, di approdo dei Messapi. La grotta della Poesia, già luogo di culto di Medh, venne riutilizzata data la sua singolare struttura a tre caverne, l’ultima delle quali è raggiungibile solo tramite un sifone. In essa i Messapi incisero più volte il nome del loro dio ctonio, Tiotor, assurgendo la grotta, nella religione messapica, non più simbolo del ventre materno, ma del passaggio tra il regno della vita e quello dell’oltretomba.
Bathas, dio della folgore e della luce, adorato presso la grotta della Porcinara, a Santa Maria di Leuca, Come anche la dea Thana, venerata nel sacello dello Scalo di Furno, presso Porto Cesareo, sono divinità simili, nei tratti e nel culto a dei di un popolo che coi Messapi ha fin troppe corrispondenze, ossia gli Etruschi.
Nel V secolo a.C. i Messapi si unirono in una lega sacra, modellata secondo una struttura tipicamente etrusca, ossia la dodecapoli, nella quale il numero sacro 12 era la cifra della compiutezza (la riduzione di 12 è infatti 1+2=3, numero della perfezione e 3 x4 – numero della terra – è uguale nuovamente a 12) della ricomposizione della totalità originaria, la discesa in terra di un modello cosmico di pienezza e di armonia. La Lega, fondata su un solenne giuramento di fedeltà, fratellanza e reciproco aiuto, non solo mise fine ai dissidi che vi erano stati tra le varie comunità, ma costituì il germe dell’unità politica ed ideale del Salento come entità politica, insomma, il cuore stesso della nostra Identità.
Le Città fondate a quel tempo dai Messapi erano infatti molte più di dodici. Nella mappa di Soleto, l’ostakon portato alla luce nel 2003, figurano infatti solo le città messapiche del Salento meridionale, ossia Hydrus (Otranto), Taras (Taranto), Baletion (Alezio), Ozan (Ugento), Nareton (Nardò), Sollytos (Soleto o Sallentum, la Capitale messapica), Mios (Muro Leccese), Sty (Cavallino), Lios (Leuca), Lik (Castro), Baxta (Vaste), Thuria (Roca), e Graxa (Gallipoli), mentre la dodecapoli messapica era formata invece da Alytia (Alezio), Ozan (Ugento), Brention/Brentesion (Brindisi), Hyretum/Veretum (Vereto), Hodrum/Idruntum (Otranto), Nareton (Nardò), Kailia (Ceglie Messapica), Manduria, Mesania (Mesagne), Orra (Oria), Sybar (Lecce), Thuria Sallentina (Roca Vecchia).

Su ricerche di Giuliana Lubello


Molto interessante anche l’acquerello dell’artista galatinese Pietro Cavoti su “LA CENTOPIETRE DI PATU’”.

Pietro Cavoti in BelSalento

Sui Messapi in BelSalento

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a cura del dott Giovanni Greco;
dott in Conservazione dei Beni Culturali, con laurea in archeologia industriale, è studioso e autore di numerose ricerche sul Salento, Erasmus in Germania nel 1996, ha viaggiato per venti anni in Italia e in Europa, ha lavorato un anno in direzione vendite Alitalia nell’aeroporto internazionale di Francoforte, ha diretto per cinque anni la sezione web di un giornale settimanale cartaceo italiano a Londra, libero professionista, videomaker, artista raku, poeta, webmaster, blogger, ambientalista, presentatore, art director, graphic designer, speaker radio, giornalista freelance Internazionale iscritto presso l’agenzia GNS Press tedesca, collabora come freelance con diverse realtà sul web e sul territorio locale. Dal 1998 è direttore responsabile della rivista on line “BelSalento.com – arte, storia, ambiente, politica e cultura della Terra dei Due Mari – Servizi di Fruizione Culturale”.
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