Ulivo (o olivo) nel Salento fra storia, medicina, sacro e profano

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ricerche a cura del dott Giovanni Greco

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Ulivo (o olivo)

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è da sempre la pianta da frutto sacra presso tutte le civiltà mediterranee, ma anche simbolo di pace dai tempi più remoti; è la pianta mediterranea per eccellenza;  coltivata nei paesi a clima mite e temperato, appartiene alla famiglia delle Oleacee.
Qui alcuni esempi dell’Olio di oliva negli usi medicinali

L’albero dell’ulivo (qui un maestoso ulivo, foto  gentilmente offerta da Rita Bortone) cresce molto lentamente e solo dopo un paio di decenni raggiunge grandi dimensioni – sino a 10 m e oltre –, è sempreverde, longevo (addirittura millenario), il suo tronco nel tempo si contorce in rivoli impresionanti; le foglie dei suoi rami sono semplici, terminanti a punta  ellittiche, con la pagina superiore verde scuro e l’inferiore bianco-argento per la presenza di impercettibili peli stellati che limitano la traspirazione e aiutano la pianta a resistere durante la siccità e la calura estiva. I suoi fiori sono le mignole, piccoli e bianchi, con la corolla a imbuto, si dispongono in grappoli alla base delle foglie.


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Per mignolatura si intende la comparsa dei boccioli, che avviene in primavera; mentre la fioritura si sviluppa in genere dalla quarta alla quinta settimana dopo. Meno del 5% dei suoi fiori diventerà frutto perché quasi tutti cadono precocemente.

I frutti sono le olive, che sono composte da una pelle esterna o buccia (epicarpo), dalla polpa (mesocarpo) e dal nocciolo legnoso che contiene il seme (endocarpo). La buccia è costituita da cellule rivestite da una spessa cuticola di pruina, mentre la polpa contiene l’olio il quale, man mano che procede la maturazione, si raccoglie negli spazi intercellulari ma anche nelle cellule a otricello. Il nocciolo è legnoso  e contiene pochissimo olio.

La maturazione dell’oliva avviene in tre fasi: nella prima, che inizia ad agosto, la drupa è ancora verde in quanto é ricca di clorofilla ma è quasi priva di polpa ed ha poco olio. Nella seconda fase, detta della invaiatura, l’oliva varia la sua coloratura passando da rosso-viola sino a divenire più scura; la buccia si copre di pruina e nella polpa inizia la il fenomeno della litogenesi, la sintesi dell’olio, nel corso della quale la drupa perde acqua, proteine e zuccheri.

Nell’ultima fase, in genere a fine autunno, avviene la maturazione del frutto che è divenuto di color viola scuro. La raccolta può essere fatta a mano (in questo caso si parla di brucatura se avviene sui rami e di raccattatura se a terra) oppure si adopera la scuotitura attraverso un braccio meccanico che scuote il tronco e i rami; e la pettinatura con rastrelli che staccano le olive dai rami.

Presso la «Collina delle Ninfe e dei Fanciulli» (maggiori approfondimenti nella sezione di BelSalento Draghi Miti e Leggende nel Salento millenario) a Giuggianello, luogo magico per eccellenza, che si trova a pochi chilometri da Minervino di Lecce e Palmariggi vi è una collina dove si cela un luogo denso di miti e leggende; già conosciuto sin dalla preistoria, in epoca classica fu avvolto dal mito di alcuni pastori e fanciulli salentini che osarono sfidare delle ninfe nella danza e per questo furono puniti dalle ninfe e tramutati in alberi di ulivi. Fra il divino e il mortale, fra la leggenda e la realtà, visivamente ancora oggi questi ulivi sembrano davvero avere un’espressione dai tratti umani come si potesse intravedere braccia rugose, gambe, occhi, facce nasute … come se prima di essere ulivi queste piante fossero stati davvero esseri umani.

Nicandro di Colofone sacerdote del tempio di Apollo, nel II secolo a.C nella sue Metamorfosi, scriveva : «Si favoleggia che nel paese dei Messapi presso le cosiddette “Rocce Sacre” fossero apparse un giorno delle ninfe che danzavano e che i figli dei Messapi, abbandonate le loro greggi per andare a guardare, avessero detto che sapevano danzare meglio. Queste parole punsero sul vivo le ninfe e si fece una gara per stabilire chi sapesse meglio danzare. I fanciulli, non rendendosi conto di gareggiare con esseri divini, danzarono come se stessero misurandosi con delle coetanee di stirpe mortale. Il loro modo di danzare era quello, rozzo, proprio dei pastori; quello delle ninfe, invece, fu di una bellezza suprema. Esse trionfarono dunque sui fanciulli nella danza e rivolte ad essi dissero: “Giovani dissennati, avete voluto gareggiare con le ninfe e ora che siete stati vinti ne pagherete il fio”. E i fanciulli si trasformarono in alberi, nel luogo steso in cui stavano, presso il santuario delle ninfe».

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Obendrein schmäht Apulus die Nymphen mit obzönen Sprüchen. (Johann Ulrich Krauss, Edition 1690) Ovid, Met. XIV, 522 – mox, ubi mens rediit et contempsere sequentem, ad numerum motis pedibus duxere choreas; inprobat has pastor saltuque imitatus agresti addidit obscenis convicia rustica dictis,

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Un ulivo è menzionato anche nello spettacolare Mosaico di Otranto del maestro Pantaleone, nella rappresentazione del diluvio universale con l’arca di Noè e uomini che sono inghiottiti dai pesci. Dopo il diluvio, il ritorno della pace rappresentato da un ramoscello di ulivo. Quindi degli umani che stringono tra le mani un ramoscello di ulivo, simbolo della fine del diluvio e il ritorno alla pace. Infatti è una sorta di viaggio nella coscienza umana, con il cammino di redenzione che l’uomo è costretto a fare per raggiungere la pace, in una lotta continua contro il peccato originale. Oltre le vicende di Adamo ed Eva sono presenti, infatti, riferimenti al diluvio universale, all’arca di Noè, che termina però con uno dei simboli per eccellenza della pace e della salvezza: il ramoscello d’ulivo.

A Gallipoli tra XVII e XIX secolo, si batteva il prezzo dell’olio per l’intera Europa.

Sin dal 1600 nel Salento l’olio di Gallipoli valeva come l’oro in quanto era il migliore del Mediterraneo; e per questo motivo dal Salento confluivano in Gallipoli tutti i produttori locali di sale, grano, vino, di sapone, di botti, ma soprattutto di questo particolare tipo di olio lampante, usato non per l’alimentazione ma per l’illuminazione cittadina; quest’olio veniva esportato via mare verso tutto il mondo conosciuto; tant’è che il porto di Gallipoli ebbe una importanza determinante e fondamentale per il commercio di questo prodotto nell’intero bacino del mediterraneo. Da questo porto per oltre duecento anni sono partite decine e decine di navi cariche di olio lampante verso i porti italiani di Genova, Venezia, Napoli … e da li verso Inghilterra, Francia, Olanda … e poi di porto in porto l’olio lampante gallipolino ha raggiunto tutto il mondo, dall’America alla Russia sino all’estremo Oriente. Ogni giorno decine di navi e bastimenti hanno caricato le loro capienti stive di quel prezioso oro liquido salentino, unico nel suo genere per la purezza della fiamma perchè “ambrato”, “trasparente” e più luminoso degli altri tipi di olii; e dallo scalo gallipolino raggiungevano gli scali del Nord Europa e da lì le steppe della Russia.

L’illuminazione cittadina a OLIO nell’Ottocento leccese (sino al 1873)
(mia tesi di laurea sull’illuminazione cittadina leccese dall”800 al ‘900)

Quando i cittadini leccesi dell’Ottocento passeggiavano in città la sera, si ritrovavano nella penombra dei pochi fanali a olio (lanterne o lampioni) collocati per l’illuminazione notturna lungo le vie principali e nelle piazze della città. Nelle ricorrenze più salienti, sotto i balconi e davanti alle botteghe, sfilavano le processioni dei santi circondate da lumi a olio (le lucerneddre de Santu Ronzu) ricche dei gonfaloni variopinti delle arciconfraternite. (…) (Lucerneddhe de Santu Ronzu, diventerà una canzone degli anni trenta del ‘900 del leccese Franco Perulli, cfr in http://belsalento.wix.com/belsalento#!franco-perulli/cw8o). Fra gli anni Sessanta e i primi del decennio seguente dell’Ottocento, in occasione delle feste cittadine, fra i solenni palazzi stemmati, con balconi e finestre illuminate a olio, nella strada affollata di passanti e commercianti e di fronte ad una speziera, i venditori di candele si confondevano ai distributori di manifesti teatrali. In questo periodo, come già nell’antica Lupiae, vige ancora il tradizionale e millenario sistema d’illuminazione ad olio di uliva e di bacche di mortella.
La scarsa documentazione sull’illuminazione urbana leccese all’inizio dell’Ottocento, ci informa che nel 1818, c’erano 79 “riverberi” (lampioni), e che la spesa relativa a 54 giorni (nel periodo compreso fra agosto e i primi dieci d’ottobre di quell’anno) era pari a 458,59 ducati e mezzo.
Proseguendo la lettura del De Giorgi, “… sino al 1860 tutte le vie della nostra città furono illuminate con lampade ad olio di uliva. … Le vie di Lecce erano tutte all’oscuro; pochi fanalisti le percorrevano a passo di tartaruga, muniti di una lanterna e di una lunga scala di quelle che si adoperano dai contadini per abbacchiare le ulive. I pubblici lampioni erano degli arnesi madornali sospesi in cima a lunghe pertiche di ferro. Giunti ad uno di questi i fanalisti distaccavano dal muro una catena che era attaccata con l’altro capo alla pertica, facevano girare quest’ultima su grossi arpioni, in modo da condurla nel mezzo della via, e poi la fissavano con due barbacani di ferro. Quindi montavano sulla scala e accendevano la lampada. Era l’affare di un buon quarto d’ora per ogni fanale, e di un paio di ore per tutti. Tuttociò avveniva nei soli giorni nei quali la luna non splendeva sull’orizzonte; ed i fanalisti dovevano tener sempre l’occhio al calendario. Dal primo giorno del novilunio sino al terzo dopo il plenilunio i lampioni restavano inesorabilmente spenti“.

Le migliori occasioni per avere un pò di luce nella città di Lecce, prosegue il professore in quest’articolo, s’avevano nel periodo estivo, in occasione delle feste patronali in onore del santo patrono della città (dal 15 al 26 agosto) o di altri santi, allorquando “le poetiche lucerneddre de Santu Ronzu … ornavano i davanzali delle finestre e gli architravi delle porte nelle case meno agiate. L’illuminazione ad olio nelle vie e nelle piazze (la così detta villa e la macchina, tuttora in uso) e sulle facciate delle chiese era di rito in queste occasioni; ma orribile era il puzzo della moccolaja (moccolo=residuo di candela) che restava fino a tarda ora di notte. Questo sistema patriarcale era adottato anche dai privati; e se riusciva dannoso ai polmoni era molto igienico per la vista

Olio di oliva negli usi medicinali

Fin dall’antichità questo prezioso frutto della natura è stato conosciuto come “oro liquido” venerato da popoli e civiltà per interi millenni, sia per il suo sapore ma anche gli antichi avevano scoperto le sue proprietà organolettiche e dietetiche. L’olio d’oliva non è solo un ottimo condimento per il nostro cibo, ma è uno dei migliori idratanti per la pelle ed i capelli, fa bene a tutto l’organismo, al cuore ai reni alle articolazioni ed ha svariati usi medicinali.

Nella Storia

Greci e i Romani utilizzavano l’olio d’oliva soprattutto per la cura del corpo. A quei tempi si riteneva che chi aveva capelli e pelle asciutti, fosse da  considerarsi sporco, e per questo motivo era uso spalmarsi di olio almeno una volta al giorno.
Inoltre l’olio veniva lavorato con erbe e fiori e trasformato in unguento contenuto in piccoli vasi di oro, argento, avorio, bronzo, legno e vetro che spesso venivano appesi alla cintura o al polso.

L’olio d’oliva era usato nell’antico Egitto per la preparazione di unguenti. L’uso dell’olivo per uso domestico era in uso nell’isola di Creta già nel 3500 aC. Sono stati ritrovate numerose anfore destinate alla conservazione dell’olio oltre a lampade in alabastro, in marmo e in materiale meno nobile come l’argilla, presse e silos di stoccaggio, che testimoniano una vera e propria civiltà dell’olivo. Le olive venivano allora raccolte a mano, i frutti frantumati nel mortaio e la pasta così ottenuta era posta in dei sacchi e spremuta. Questa tecnica per ricavare l’olio sarebbe stata utilizzata in tutta l’area del Mediterraneo fino agli albori della civiltà industriale.
I Fenici adottarono l’uso dell’albero dell’olivo più o meno nello stesso periodo ed è senza dubbio a loro che se ne deve l’introduzione in Egitto. In questo paese l’olivicoltura è attestata intorno al 1500 a.C. e l’olio viene utilizzato nelle offerte agli dei e ai faraoni e come ingrediente per la composizione di balsami e di unguenti. La sua introduzione nella farmacopea egiziana ne fa quindi un prodotto terapeutico di primo piano.

Sembrerebbe che l’olivo si sia definitivamente fissato nella penisola greca al tempo di Solone (640-558 a.C.), che promulgò delle leggi destinate a regolarne la coltura. Poco tempo dopo Eschilo qualificò la località di Samo, nei suoi scritti, come “l’isola degli olivi”, fatto che dimostra implicitamente come anche tutte le altre isole dell’Egeo si dedicassero già a questa coltura.

L’olivo arrivò nella penisola italiana, grazie alle colonie greche e fenicie. Plinio il Vecchio afferma che l’olivo era sconosciuto nel mondo romano al tempo dei Tarquini (tra la fine del VII secolo e l’inizio dell’VIII secolo a.C.) che conoscevano le virtù terapeutiche dell’olio nelle palestre per massaggiare gli atleti prima degli esercizi evitandone stiramenti muscolari, crampi e raffreddamenti repentini. L’olio d’oliva era talmente rinomato che, una volta raschiato sul corpo dell’atleta con l’aiuto di uno strigilo, veniva rivenduto a prezzo d’oro per le sue virtù curative, proprio perché “rinforzato” dal sudore degli atleti più virili, come raccontano Dioscoride e Plinio.
L’olio era utilizzato anche come base dei profumi. L’olio profumato, destinato sia agli uomini sia alle donne, era presente nei banchetti come alle Terme ed era una offerta obbligata agli dei.

Fra il sacro ed il profano sin dalla prestoria l’albero di Olivo ha sempre unito i popoli attraversato la storia dell’umanità Significati e simboli

 La simbologia della pianta ha origini millenarie : Simbolo d’eternità

Per la sua longevità e resistenza l’olivo fu considerato simbolo dell’eternità e della tenacia. È risaputo, infatti, che gli olivi possono resistere alle peggiori condizioni di siccità e di freddo. Inoltre, l’ulivo è praticamente indistruttibile, anche quando il tronco sia tagliato, la pianta mette nuove gemme anche da monconi. Sopravvive a qualsiasi spaccatura dei rami e anche, a volte, agli incendi.
La sua capacità non solo di superare le difficoltà unita a quella di rinascere dopo essere stato abbattuto ne fecero il simbolo della vita e della capacità di sconfiggere le avversità e la morte stessa. I Romani seppellivano i loro morti con un ramoscello d’ulivo, per simboleggiare che avevano superato le prove della vita.

Poi c’è un altro significato simbolico dell’olivo: l’Asse del Mondo. Per la sua antichità quest’albero fu ritenuto presso tutti i popoli, un albero ancestrale. l’asse che congiunge i tre piani dell’esistenza, il perno attorno al quale ruotano i mondi, ma proprio per questa funzione anche Albero della Conoscenza al pari di Yggdrasil presso i Nordici e la Quercia presso i Celti.

L’ulivo non vide solo la nascita di Romolo e Remo, altri due gemelli divini nacquero sotto le sue fronde: Diana e Apollo.
Sacro a Giove e Minerva presso i romani, perpetua la sua natura solare e lunare anche in Egitto, dove, secondo la leggenda, fu Iside, Dea della Luna ma moglie e sorella del Sole Osiride, a insegnare agli uomini la coltivazione del sacro albero.
In effetti, le foglie dell’olivo con il loro verde scuro, risvoltate d’argento, ricordano la luna in un cielo notturno, tuttavia l’oro dell’olio non può che richiamare alla mente il Sole. Tale caratteristica richiama all’unione degli opposti, il maschile e il femminile, la luce e l’oscurità, la ierogamia, in altre parole la «sacra unione del Cielo e della Terra».

Messaggero degli Dei, l’ulivo era dunque anche simbolo delle «unioni sacre», per tale motivo le corone di ulivo erano intrecciate per decorare il capo degli sposi nell’Antica Grecia e presso i Romani. Alle Olimpiadi ai vincitori venivano offerte una corona di ulivo ed un’ampolla d’olio.

Di fronte all’antica Gerusalemme la tradizione pone  il “Monte degli Ulivi”.
Nell’antica Grecia era considerato una pianta sacra al punto che chiunque fosse sorpreso a danneggiarlo veniva punito con l’esilio.

Ad Atene esisteva un ulivo ritenuto, il primo ulivo del mondo, nato dalla lancia della dea Athena e per questo considerato sacro e protetto dalle guardie del tempio. Sempre secondo la leggenda greca, fu Athena, dea, appunto della giustizia e, successivamente alla colonizzazione romana anche della «pax», a donare l’olivo agli Ateniesi.

Nella Bibbia abbiamo circa una settantina di citazioni che menzionano l’albero dell’Ulivo.
E anche il nome di Gesù, Christos, vuol dire semplicemente unto.
Chaterine Breton ricercatrice, ha studiato la nostra pianta di ulivo ed  ha scoperto che l’oleae europea, dovrebbe derivare da undici differenti popolazioni dell’est e dell’ovest del Mediterraneo.  Sin dall’antichità la pianta dell’olivo è sempre stata presente nella simbologia e nei miti. Già nella preistoria ha mantenuto inalterato quel suo simbolismo di pianta emblema di pace, forza, fede, trionfo, vittoria, onore.

Secondo molte leggende l’olivo è un dono degli dei, forse per questa sua origine sacra il suo prodotto, l’olio, rivestiva un così forte ruolo nei riti sacri di tutte le religioni di area mediterranea, da quella Ebraica, all’Egizia, fino ai Greci e ai Romani.
Si può dire che l’olivo fosse simbolo della sacralità stessa, della benevolenza divina nei confronti dell’umanità, forse per questo motivo, fu unanimemente eletto da tutti i popoli quale simbolo della pace.

Nel libro della Genesi si menziona l’ulivo. Così come anche nelle metafore dei poeti dell’Antico Testamento che ne decantavano la magnificenza dove la pianta dell’ulivo è intesa quale simbolo di salvezza e di prosperità. Ad esempio il salmo 128, ne esalta talune qualità “l’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie”, dove narra: “la tua sposa è come vite feconda nell’intimità della tua casa, i tuoi figli come virgulti d’olivo intorno alla tua mensa”. Anche il profeta Osea narra di potenza e forza dell’ulivo: “sarà come rugiada per Israele, esso fiorirà come un giglio e metterà radici come il cedro del Libano, si espanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell’ulivo e la fragranza del Libano” (Os 13, 6‐7).
Nel Primo Libro dei Re nel tempio di Gerusalemme è scritto: “Salomone nella cella fece due cherubini di legno d’ulivo, alti dieci cubiti … fece costruire la porta della cella con battenti di legno d’ulivo … lo stesso procedimento adottò per la porta della navata, che aveva stipiti di legno d’ulivo” (cfr 1Re 6, 31‐33).
E nel rendere onore a Giuditta, la si “incoronò di fronde d’ulivo ed ella precedette tutto il popolo, guidando la danza di tutte le donne” (Giuditta 15, 13).

Omero nei suoi poemi ha citato spesse volte l’olivo menzionandolo sempre come simbolo di pace e di vita. Ad esempio era d’olivo il  tronco gigantesco con il quale Ulisse accecò Polifemo. Mentre il re di Itaca costruì per sè e per Penelope il letto nuziale, scavandolo nel tronco di una grande pianta d’olivo, proprio per simboleggiare una unione vera e duratura.

I Romani erano soliti intrecciare ramoscelli di ulivo per adornare corone per premiare i campioni e i cittadini dell’impero fra i più valorosi. Mentre tradizione vuole che i gemelli Romolo e Remo nacquero sotto un albero d’olivo. È forse per questo motivo che è possibile l’attribuzione di poteri protettivi all’olivo e all’olio d’oliva, largamente usato nei riti di quasi tutte le religioni e in diversi incantesimi.
La funzione protettiva, nei confronti dell’infanzia, era comune anche alla cultura greca, e si è perpetrata fin quasi i giorni nostri. Si pensava, infatti, che la luce di lampade alimentate a olio d’oliva proteggessero i neonati e i bambini. Un’usanza greca, vuole, infatti, che alla nascita di un bambino sia piantato un nuovo albero d’ulivo che crescerà con l’infante proteggendolo ma non solo. Poiché gli ulivi sono alberi secolari, quando l’infante, ormai vecchio, lascerà questo mondo, l’albero continuerà ad esistere prolungandone l’esistenza.

Nella religione cristiana la pianta d’olivo assume molti significati e simbologie. Noè, passati i 40 giorni del diluvio universale, liberò un corvo e una colomba per avere la conferma che le acque si fossero ritirate. Dopo un primo tentaivo liberò nuovamente gli uccelli e solo dopo una settimana la colomba ritornò con un ramoscello d’olivo nel becco. Da quel momento l’olivo assunse il duplice significato di simbolo della rigenerazione della terra che torna a fiorire e il simbolo dalla pace e della riconciliazione di Dio con gli uomini. In questa ottica l’olivo diventa una pianta sacra e sacro è anche l’olio che viene dal suo frutto, le olive. Quindi un duplice simbolismo che venivano celebrati nella festa cristiana delle Palme dove il ramoscello  dell’olivo rappresenta il Cristo stesso che, attraverso il suo sacrificio, consente la riconciliazione e la pace per tutta l’umanità. Ecco che per l’intera comunità cristiana l’olivo è inteso come una pianta sacra come anche  sacro è il suo frutto, le olive dalle quali si trae l’olio. Ecco pertanto che l’olio d’oliva è il Crisma, usato nelle liturgie cristiane dal Battesimo all’Estrema Unzione, dalla Cresima alla Consacrazione dei nuovi sacerdoti.
25335f_81ae78cffdf749b4a1427f322eedc222Anche nei Vangeli Santi torna la simbologia dell’olivo : quando Gesù ricevette il calore della folla, questa gente agitava foglie di palma e ramoscelli d’olivo; e sempre Gesù trascorse le ultime ore prima della Passione nell’Orto degli Ulivi.

Usato una volta per alimentare le lucerne, assunse poi un nuovo significato : come nella lucerna, bruciando, diviene strumento di luce, così, nei riti dell’unzione, esso accendeba la luce divina in colui che veniva unto. Per questo re e sacerdoti venivano consacrati con la cerimonia dell’unzione e nella Bibbia sono ricorrenti parecchi esempi. Anche l’altare delle Chiese viene unto d’olio per essere consacrato.
L’unzione ci avvicina al divino e con questo significato viene ancora usata in numerose cerimonie della liturgia cristiana come il battesimo e la cresima.
Poi c’è l’episodio della consacrazione di Davide quando l’angelo spiega a Samuele cosa deve fare per consacrare il futuro re e sacerdote di Israele: “Allora io ti indicherò quello che dovrai fare e tu ungerai chi ti dirò”. Allorché compare Davide il Signore stesso ordina a Samuele “Alzati e ungilo: è lui”. Allora “Samuele prese il corno dell’olio e lo consacrò [Davide] con l’unzione in mezzo ai suoi fratelli; e lo spirito del Signore si posò su Davide da quel giorno in poi” (1 Sam.16,3; 16,12-13). E ancora l’unzione appartiene alla sfera divina e simboleggia la presenza del Signore e con questo significato viene ancora usata in numerose cerimonie della liturgia cristiana come il battesimo, la cresima, l’ordine sacerdotale, l’estrema unzione.

Mentre nella tradizione ebraica, secondo la leggenda citata anche nella Genesi, prima di morire Adamo mandò il figlio Seth dai cherubini per chieder loro i tre semi dell’”albero della Conoscenza del Bene e del Male”. Seth potette piantare sulla tomba del padre tre semi che erano un cipresso, un cedro e un olivo. Quest’albero era, infatti, anche simbolo della sapienza che dissolve le tenebre dell’ignoranza, forse in rapporto all’uso che si faceva dell’olio per illuminare la notte. Tale associazione era tipica anche dei Greci e dei Romani presso i quali, come già detto, l’ulivo era sacro rispettivamente ad Athena e Apollo e a Minerva e Giove.
In epoca cristiana, l’ulivo quale simbolo di conoscenza si mutò nel simulacro del Cristo, apportatore della «Gnosi» nei primi secoli e, in epoca ormai costantiniana-cattolica, emblema della «Fede in Dio»

Anche per i mussulmani questa pianta ha un grande valore. Maometto nel Corano dice : “Dio è la luce dei cieli e della terra. La sua luce è come quella di una lampada, collocata in una nicchia entro un vaso di cristallo simile a una scintillante stella e accesa grazie a un albero benedetto, un olivo che non sta a oriente né a occidente, il cui olio illuminerebbe anche se non toccasse fuoco” (Surat sulla Luce XXIV).


Esistono molte leggende riguardo l’Ulivo, alcune son solo “fiabe”, altre narrano storie realmente accadute.

Avvenne così che in un tempo ormai dimenticato, un dittatore Lucio Cornelio Silla, ordinò di tagliare tutti gli Ulivi presenti sul territorio conquistato. In particolar modo, a subire quest’amara tortura, dovevano essere gli Ulivi di Puglia, perché più antichi e maestosi degli altri, e dalla legna così ottenuta, dovevano costruirsi armi invincibili. La popolazione ovviamente si rifiutò, lottando strenuamente pur di difendere gli Ulivi, ma il dittatore era uomo spregevole e crudele … oltre agli Ulivi, fece uccidere tutti coloro che si ribellavano ai suoi ordini. Solone, poeta e filosofo di quel tempo iniziò a scrivere poesie per chiedere perdono a Zeus: lui in cuor suo sapeva che eradicare un Ulivo, il dono più prezioso che Atena aveva fatto all’uomo, significava svilire l’animo umano, ed al tempo stesso attirare sventura sulla propria terra. Zeus, commosso dalle parole dell’insigne poeta, decise di intervenire personalmente … Tutti coloro che avevano preso parte all’eccidio degli Ulivi e alla tortura degli uomini, avrebbero pagato per generazioni. L’ulivo, di contro, da quel momento fu reso indistruttibile … l’estate più torrida, l’inverno più gelido, gli sfregi dell’uomo o le fiamme non avrebbero mai più potuto scalfirlo. Dall’alto dell’Olimpo, Zeus tuonò facendo sentire le sue urla in ogni dove, mai più, in nessun tempo e in nessun luogo, l’uomo avrebbe dovuto alzare una mano contro un Ulivo, perché la sua ira funesta sarebbe ricaduta ancora sulla Terra. Zeus impose di considerare da quel momento in avanti l’Ulivo come un Dio … e così è stato e sarà per Sempre.


La Nascita dell’olivo nell’antica Grecia

Poseidone, dio del mare, non si accontenta di aver ottenuto, nella spartizione del regno del padre Crono, la signoria degli oceani. Invidia a suo fratello Zeus il dominio del cielo ed è avido di terre, che contende, appena può, a tutti gli altri dei. Poseidone abitava in uno stupendo palazzo sull’isola di Eubea. La reggia era decorata di madreperla con numerosi intarsi di conchiglie, coralli e gemme preziose. Quando Poseidone usciva su un carro d’oro trainato da alati cavalli bianchi, era seguito dalla numerosa corte di tritoni, sirene e nereidi. Tutte le creature del mare gli ubbidivano e buona parte di quelle della terra lo temevano perché egli aveva piena signoria sulle onde, i maremoti e le burrasche marine, che inviava sulle coste quando andava in collera.

Poco lontano dal suo regno c’era una città stupenda, Atene, ricca di splendidi palazzi di marmo e di templi imponenti, che onorava soltanto la saggia figlia di Zeus, Atena. Il dio del mare, invidiosissimo, fremeva dalla voglia di diventarne il signore. Un giorno arrivò col suo carro veloce sul punto più alto di Atene, l’Acropoli, e battendo sulla roccia con la sua arma, il tridente, fece sgorgare una fonte d’acqua marina. “Ecco la prova che Atene è mia” gridò il dio ai quattro venti – “Qui sgorga acqua di mare, e io sono il dio del mare…”.

La dea Atena si fece avanti, protestando, ma Poseidone la sfidò: “Ah, sì, questa città è tua? Te la ridarò se sarai capace di battermi in duello“. Atena scosse la testa. “Perché combattere?” –  disse – “Facciamo una gara pacifica. Vincerà chi regalerà agli abitanti di questa terra la cosa più utile“.

“Io dono il cavallo!”, gridò Poseidone, sicuro di vincere. Che cosa c’era infatti, per quei tempi, di più utile del veloce cavallo? Atena piantò in terra la sua lancia e immediatamente spuntò in quel punto una piantina dalle foglie d’argento, che crebbe a vista d’occhio: era l’ulivo. Poseidone s’appellò a Zeus, il quale convocò subito una giuria di dei e di dee, in numero uguale.

A quel punto chiese loro di dare un giudizio: era più utile il cavallo o l’ulivo dai frutti preziosi? Difficile prendere una decisione. Dopo infinite ed accese discussioni, che si protrassero per giorni e giorni, l’eccellente giuria non poté emettere un verdetto definitivo. Infatti gli dei erano in favore di Poseidone, mentre tutte le dee erano dalla parte di Atena. Vinsero però queste ultime, perché il padre Zeus, come giudice supremo, si astenne dal voto, dando la maggioranza alle dee, che avevano visto nell’ulivo una pianta utile per l’uomo. Così fu evitato il duello nel quale Atena avrebbe senz’altro avuto la peggio. Da allora l’ulivo divenne il simbolo della pace e tale è rimasto anche ai giorni nostri.


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Ricerche a cura del dott Giovanni Greco;
dott in Conservazione dei Beni Culturali, con laurea in archeologia industriale, è studioso e autore di numerose ricerche sul Salento, Erasmus in Germania nel 1996, ha viaggiato per venti anni in Italia e in Europa, ha lavorato un anno in direzione vendite Alitalia nell’aeroporto internazionale di Francoforte, ha diretto per cinque anni la sezione web di un giornale settimanale cartaceo italiano a Londra, libero professionista, videomaker, artista raku, poeta, webmaster, blogger, ambientalista, presentatore, art director, graphic designer, speaker radio, giornalista freelance Internazionale iscritto presso l’agenzia GNS Press tedesca, collabora come freelance con diverse realtà sul web e sul territorio locale. Dal 1998 è direttore responsabile della rivista on line “BelSalento.com – arte, storia, ambiente, politica e cultura della Terra dei Due Mari – Servizi di Fruizione Culturale”.
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i miei viaggi in Europa dal 1996 al 2014 – Giovanni Greco

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Se la conoscenza può creare dei problemi, non è con l’ignoranza che possiamo risolverli (Isaac Asimov)

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