PLEBISCITO TRUFFA DEL 21 OTTOBRE 1860 – DALLE BATTAGLIE ALLE VOTAZIONI TRUCCATE di Rosalba Valente

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di Rosalba Valente

PLEBISCITO TRUFFA DEL 21 OTTOBRE 1860

295887_310522995630999_357959643_nIl Plebiscito dell’ottobre 1860 per l’annessione Del Regno delle Due Sicilie al Piemonte fu un’ aberrante messinscena.
Votò appena il 19 per cento degli aventi diritto, e cioè solo una elite di possidenti sicché si “espresse” solo  il 1,9% dell’intera popolazione!
Il voto era palese: tre urne sul tavolo dei nuovi governatori dei comuni (ex cospiratori dei comitati rivoluzionari ) : una a destra con le schede “SI’”, una a sinistra con le schede “NO” in mezzo una urna vuota.
L’elettore si accostava al banco ritirava la propria scheda prestampata su cui era scritto “: «Il Popolo vuole l’Italia una ed indivisibile con Vittorio Emanuele Re Costituzionale e suoi legittimi discendenti a norma del decreto dittatoriale dell’8 ottobre 1860?” [1] dall’urna “SI’” o dall’ urna “NO” e la poneva nell’urna centrale.
«Giorni prima che si facesse il plebiscito furono affissi, alle mura delle città principali, dei grandi cartelli, in cui si dichiarava nemico della Patria chi si fosse astenuto o avesse dato il voto contrario all’annessione». (C. Alianiello, La conquista del Sud)
Gli elenchi dei votanti si rilevarono dai libri delle parrocchie, inclusi quelli dei morti e pertanto con delega di costoro votarono anche i garibaldini (ungheresi inclusi) e un certo numero di soldati dell’esercito piemontese che presidiavano il buon ordine delle votazioni (insieme ai pugnalatori cammoristi prepagati per l’ufficio).
I soldati delle Due Sicilie, invece, non votarono poiché impegnati in gran numero sulle linee di combattimento per l’indipendenza della propria Patria invasa, e non votò neppure il primo suddito della Nazione,  Francesco II di Borbone, perché impegnato in Territorio Nazionale, a Gaeta,  per l’estrema difesa della patria.
Il clima in cui si svolse questo voto  è testimoniato da T. Pedio: «Basta che si manifesti il desiderio di votare per il mantenimento dei Borbone, perché si venga arrestati e rinviati a giudizio per rispondere di attentato a distruggere la forma di Governo; basta un semplice sospetto, perché si proceda al fermo preventivo che impedisce a numerosi cittadini di partecipare alle operazioni di voto». Un alto ufficiale piemontese, testimone oculare, ebbe a dichiarare: «In Caserta, lo Stato maggiore della mia Divisione, composto di cinquantuno ufficiali non tutti presenti al momento del plebiscito, si trovò ad avere centosessantasette voti. Nel resto del Regno si fece il plebiscito al pari di quello di Napoli». (Vita politica in Italia meridionale, 1860-1870).
«Tra un’esibizione di bandiere tricolori con stemma sabaudo e l’occhiuta vigilanza di addetti, guardie, e curiosi accalcati in entrata, ogni segretezza del voto – come si può capire – era pura illusione». (G. Campolieti, Re Franceschiello).
Quei pochi che ebbero il coraggio di estrarre la scheda dall’urna del “NO”  subirono minacce fisiche e violenze, fatti che fecero persino dire all’inglese Mundy: «Un plebiscito a suffragio universale svolto in tali condizioni non può essere ritenuto veridica manifestazione dei sentimenti del paese».
E Lucien Murat racconta: «Le urne stavano tra la corruzione e la violenza. Non più attendibili apparvero gli scrutini. Specialmente i garibaldini si erano diverti ad andare a votare più volte, e certamente nessuno pensò di impedirlo ai galantuomini delle città di provincia, che affermavano in tal modo la loro importanza».
Insomma, «si fece ricorso a ogni trucco, nel voto e negli scrutini, per ottenere il risultato plebiscitario desiderato». (P. G. Jaeger, Francesco II di Borbone l’ultimo re di Napoli).
Il risultato di quel 1,9 % di votanti reco globalmente un 90 % di “SI’”.  Evviva! V.E. II era voluto ed entrava in Napoli il 7 novembre 1860 sotto una pioggia battente che gli faceva colare tutto il nero con cui si era colorato barba e capelli.

[1] Siamo alla farsa totale:  Garibaldi che non rappresenta nessuno Stato; le sue operazioni sono disapprovate da Cavour e il Re di Sardegna MA in nome di un suo decreto dittatoriale si vota per il regno di Vittorio Emanuele II.


di Rosalba Valente

 DALLE BATTAGLIE ALLE VOTAZIONI TRUCCATE

69470_170611132955520_7370414_nOggi 21 ottobre 2010 ricorre il 150° anniversario del falso ed infausto “plebiscito” indetto da Garibaldi per cercare di fornire una patina di legittimità alla conquista sabauda del Regno di Napoli. Ormai gli storici hanno assodato che i cosiddetti plebisciti risorgimentali (a Napoli come in Veneto o in Toscana) furono dei colossali brogli elettorali in cui una minoranza insignificante votò a favore del colonialismo piemontese. Quello che combina Garibaldi nel regno invaso è quindi un cliché assolutamente illegale per il diritto di ogni epoca e che, purtroppo, la massoneria fece e fa ancora passare per volontà di popolo! E’ quindi  motivo di profonda vergogna che la più bella piazza dell’ex capitale borbonica sia intitolata a quel terribile evento che sancì praticamente la fine del regno delle Due Sicilie. Nell’immagine l’avvenimento ricordato pomposamente con un francobollo al compimento dei  50 anni.


21 ottobre 1860: il plebiscito organizzato dalla camorra consegna Napoli al Piemonte

cfr ; http://www.vesuviolive.it/ultime-notizie/politica/115046-21-ottobre-1860-il-plebiscito-organizzato-dalla-camorra-consegna-napoli-al-piemonte/

Basta che si manifesti il desiderio di votare per il mantenimento dei Borbone,
perché si venga arrestati e rinviati a giudizio per rispondere di attentato a distruggere la forma di Governo; basta un semplice sospetto,
perché si proceda al fermo preventivo
che impedisce a numerosi cittadini di partecipare alle operazioni di voto.

Così scriveva lo storico lucano Tommaso Pedìo, un personaggio al quale i Borbone erano tutt’altro che simpatici. Egli, infatti, era dell’opinione che l’insurrezione popolare “brigantesca” contro il neonato Regno d’Italia fosse una semplice reazione al fatto che la nuova dirigenza, lungi dal mantenere comportamenti tali da migliorare la condizione di vita della plebe, era invece parecchio accanita. C’era poi la questione delle terre, promesse e mai date ai contadini. Secondo il Pedìo, perciò, la volontà di una restaurazione borbonica risiedeva nell’ormai proverbiale “si stava meglio quando si stava peggio”, di gattopardiana memoria, guidata dai vecchi proprietari terrieri.

Lo storico Cesare Cantù, deputato del Regno d’Italia, convinto unitarista e antiborbonico, inoltre scrive:

Il plebiscito giungea fino al ridicolo, poiché oltre a chiamare tutti a votare sopra un soggetto dove la più parte erano incompetenti, senza tampoco accertare l’identità delle persone e fin votando i soldati, si deponevano in urne distinte i Sì e i No, lo che rendeva manifesto il voto.

Il voto, dunque, non era segreto, perché il foglietto dove si esprimeva e che domandava se si volesse l’Italia una e indivisibile, con Vittorio Emanuele monarca costituzionale, non veniva posto in una sola urna da scrutinare, ma in due urne diverse, una per il SÌ e l’altra per il NO, così che si sapesse come la persona aveva votato. Anche Gigi Di Fiore, in “Controstoria dell’Unità d’Italia”, ha confermato questa tesi. Cosa accadeva a chi avesse votato NO, ossia in modo legittimista, a favore dei Borbone?

Carlo Alianello scrisse:

Giorni prima che si facesse il plebiscito furono affissi, alle mura delle città principali, dei grandi cartelli, in cui si dichiarava nemico della Patria chi si fosse astenuto o avesse dato il voto contrario all’annessione.

A Napoli i seggi di voto erano scortati e supervisionati da camorristi e garibaldini, messi a capo della sicurezza della città dal prefetto di polizia Liborio Romano, il quale anche la storiografia ufficiale indica sostanzialmente come traditore di Francesco II, che fece allontanare da Napoli per preparare il terreno all’entrata di Giuseppe Garibaldi (vedere anche “La camorra: notizie storiche raccolte e documentate per cura di Marco Monnier”, Firenze 1862, dove è pure affermato che sotto Francesco II la camorra fece parte della cospirazione). Gli storici sono altresì concordi nel rilevare che Liborio Romano si servì della camorra, e in particolare dei servigi del capo guappo Salvatore De Crescenzo, Tore ‘e Crescienzo, per mantenere calma la popolazione ed evitare sommosse. Essi, in aggiunta, si diedero come era loro costume alla violenza, ai furti, ai saccheggi. D’altra parte lo stesso Liborio Romano ammise nelle proprie memorie di essersi servito dei camorristi, giustificando la decisione come un modo per offrire loro un riscatto e tenerli più calmi.

Alle votazioni parteciparono soltanto due persone su dieci, con le modalità che abbiamo visto. La conseguenza non poteva che essere la reazione armata, il cosiddetto “brigantaggio”, il quale era in realtà una guerra civile di patrioti contro coloro che erano, di fatto, degli invasori, perché tale è il nome comunemente attribuito a chi si stabilisce con le armi sul suolo di una nazione indipendente per sovvertirne l’ordine, annetterla.


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21 OTTOBRE 1860/2016. QUEL FALSO (E SEMPRE ATTUALE) IMBROGLIO DEL “PLEBISCITO”. MEMORIE UTILI E DANNI&BEFFE PER IL SUD DI IERI E E DI OGGI…

Per oltre 150 anni il “plebiscito” è stato utilizzato per dimostrare la partecipazione e il consenso dei meridionali verso l’Italia unita: il vero cuore del problema. Far passare, infatti, la verità storica (la falsità di quelle votazioni e il dissenso di tutto il Sud), avrebbe minato alle basi la leggenda “risorgimentalistica”. Bisognava sancire in maniera “legittima”, allora, la fine del Regno e l’adesione delle popolazioni alla nuova Italia. Il 21 ottobre del 1860 si realizzò un plebiscito che quasi tutti i testimoni del tempo definirono “una farsa”. Ed è significativo e amaro constatare che ancora oggi, nonostante la quantità e l’obiettività delle testimonianze, la storiografia ufficiale riconosce quelle votazioni come serie e attendibili. Votarono meno di due meridionali su dieci e gli “annessionisti” vinsero con il 99,9% dei voti; votarono “il Dittatore, il Prodittatore, i garibaldini d’ogni nazione e lingua, stranieri quanti ne vollero venire, giovincelli imberbi, le donne, la Sangiovannara”; i camorristi, con cinquantamila garibaldini, controllavano seggi e urne e non era poco se si considera che il voto era palese (con un’urna per il sì e una per il no); decine di paesi erano ancora in mano ai borbonici e in molti centri non si votò per nulla; migliaia di cittadini erano in prigione; a Caserta 51 ufficiali neanche tutti presenti si trovarono ad aver dato 167 voti (P. Calà Ulloa). L’ammiraglio inglese Mundy ci ha lasciato probabilmente il giudizio più corretto: “Secondo me un plebiscito a suffragio universale regolato da tali formalità non può essere ritenuto veridica manifestazione dei reali sentimenti di un paese”. “A questo modo si compiva la vendita di un popolo come fatto si sarebbe di una turba di schiavi in un bazar d’Africa o d’Oriente. Si dissero 1,313,376 i voti favorevoli fu mendacio; si dissero 10,312 i dissenzienti e fu mendacio; di voti negativi non vi fu neppure un solo perché nessuno avrebbe osato di emetterlo […] ma qual magistrato ne attestava la veracità? Lo scrutinio di quei voti fu fatto da quella stessa suprema corte di giustizia che si era affrettata a giurar fedeltà all’invasore…”. La piazza più grande e famosa di Napoli (l’antico Largo di Palazzo) è stata intitolata a questo plebiscito, a perenne memoria del primo esempio di broglio elettorale italiano. Quello stesso 21 ottobre il generale Cialdin14681703_10209426706776958_9221421140401563408_ni in un telegramma da Isernia al governatore del Molise scriveva: “Faccia pubblicare che fucilo tutti i paesani armati che piglio […]. Oggi ho già cominciato”. Iniziarono così la storia del cosiddetto “brigantaggio” e del più grande massacro della storia del Sud. Altro che “plebiscito”…
G.D.C.
Nell’immagine una foto di una manifestazione neoborbonica di qualche anno fa…


di Giovanni Greco

E non possiamo dimenticare che affinchè garibaldi giungesse in Napoli (fingendo un grande trionfo – quando in realtà il suo arrivo in Napoli fu organizzato, appunto, dalla camorra dell’epoca), bene per realizzare quest’imbroglio egli ebbe molto aiuto dai salentini Antoinietta De Pace di Gallipoli e altri, primo fra tutti comunque il Liborio Romano di Patù.


14650699_895048373929673_3363770673800024198_nIl 21 ottobre del 1860 si votò il plebiscito per l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna. Il 79% dei votanti, che non erano tutti gli aventi diritto certamente, si espressero per il Sì.

Si votava sì o no alla seguente domanda: “Il popolo vuole l’Italia Una e indivisibile con Vittorio Emanuele Re costituzionale e i suoi legittimi discendenti?“.
La scheda piegata doveva essere consegnata nelle mani del presidente del comitato elettorale che la deponeva nell’urna chiusa alla presenza dell’elettore. Era un voto non segreto e noi n lasciava possibilità a chi voleva votare per il No.
Lo storico Cesare Cantù in proposito scriveva: “il plebiscito giungea fino al ridicolo, poiché oltre a chiamare tutti a votare sopra un soggetto dove la più parte erano incompetenti, senza tampoco accertare l’identità delle persone e fin votando i soldati, si deponevano in urne distinte i Sì e i No, lo che rendeva manifesto il voto”. D’altronde, come diceva un giornale di allora (Il Regno d’Italia), “il Sì o il No rimane tuttavia libero ma è una tal libertà che servirà a imprimere una macchia indelebile nella coscienza di chiunque profferirà un No invece di un Sì”.
Sir Harold Acton studioso e storico in proposito:
“…II valletto di Alcxandrc Dumas ha ricevuto 45.000 franchi per i revolver distribuiti alla popolazione di Napoli, questo nonostante fosse già stato pagato dai compratori. Si dice che il suo padrone domandi 500.000 ducati per la quota a lui spettante. …..
… il 21 ottobre il popolo di Napoli, fu chiamato a esprimere la sua volontà per mezzo del plebiscito, si dichiarò per l’annessione al Regno d’Italia. Lo stesso fece la Sicilia.
Poiché il voto non era segreto, la minoranza contraria dette prova di considerevole coraggio. Molti non avevano neppure idea del significato di quella votazione e, a giudizio di Elliot, la parte rilevante delle categorie colte avrebbe preferito «che Napoli restasse un regno indipendente … Riguardo l’annessione – e lo fecero notare molti osservatori equanimi – da parte dell’opinione pubblica non vi era stato un giudizio nettamente positivo; tuttavia – questo lo sottolineò Marc Monnier – era la prima volta che la gente comune veniva consultata in merito al suo destino. «Ieri valeva proprio la pena di vederli, questi cenciosi diventati cittadini, stringer in mano le schede e non sapevano leggere. Riuniti in gruppi, seguivano una fanfara con le bandiere al vento, cantavano l’inno di Garibaldi urlavano in coro: ‘Si! Si!”
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