Melendugno Roca Vecchia : Porta Monumentale, due asce in bronzo e ulteriore muro – età del Bronzo di 4000 anni fa

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ricerche a cura del dott Giovanni Greco

preistoria

Melendugno Roca Vecchia : Porta Monumentale, due asce in bronzo e ulteriore muro – età del Bronzo di 4000 anni fa

Nel territorio di Melendugno presso il sito Neolitico di Roca Vecchia è stata ritrovata una Porta Monumentale con due asce in bronzo, e un ulteriore muro di fortificazione, realizzato con una tecnica unica per l’utilizzo di blocchi omogenei e squadrati. Quindi siamo in presenza di due complessi architettonici uno sovrastante all’altro di eccezionale importanza per l’archeologia dell’intero mediterraneo. Roca fu un fiorente centro culturale e commerciale sino al tardo Medioevo.

Con un finanziamento comunitario di 750.000 euro l’amministrazione comunale di Melendugno e dalla Soprintendenza Archeologica mira a recuperare il sito archeologico di Roca Vecchia. Il commento del Sindaco di Marco Potì :

É Roca il nostro GAS! Abbiamo voluto fortemente il primo grande intervento di restauro archeologico organico e sistematico di Roca Vecchia, che sta portando alla luce importanti testimonianze del nostro passato e sta destando l’interesse di tutto il mondo. Puntiamo alla piena valorizzazione dell’area, grazie ad un primo finanziamento di 750mila euro, per costruire un modello di turismo archeologico che duri tutto l’arco dell’anno e che contribuisca allo sviluppo sostenibile del nostro territorio, conferendo ulteriore prestigio alla nostra comunità”.

Nel territorio di Melendugno poco distante da San Foca e Torre dell’Orso, sorge il sito archeologico di Roca (o Roca Vecchia) che risale al Neolitico. Le ricerche del prof. Cosimo Pagliara del Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Lecce hanno evidenziato reperti e insediamenti abitativi che partono dell’Età del Bronzo fino al XVI sec. (sulla fine del II millennio a.C. è attesta anche ceramica italo-micenea). Gli scavi archeologici hanno portato alla luce una Porta Monumentale, della Roca dell’età del Bronzo Medio, sulle cui rovine fu poi edificato successivamente un nuovo muro di fortificazione, realizzato con una tecnica unica e mai documentata in precedenza per l’utilizzo di blocchi omogenei di calcarenite cavi e squadrati risalenti al Bronzo Recente.

Quasi 4.000 anni fa quindi, a Roca Vecchia c’era una Porta Monumentale, della Roca dell’età del Bronzo Medio, sulle cui rovine fu edificato un nuovo muro di fortificazione, realizzato con una tecnica unica e mai documentata in precedenza per l’utilizzo di blocchi omogenei di calcarenite cavi e squadrati risalenti al Bronzo Recente. Quindi siamo in presenza di due complessi architettonici uno sovrastante all’altro di eccezionale importanza per l’archeologia dell’intero mediterraneo. Con la parte sottostante di ben ventitré metri di spessore, che archeologi e studiosi paragonano ai miti della Grecia micenea. Il sito è databile tra XIV ed il XIII secolo a.C., ovvero dopo la distruzione del 1350 a.C. circa con le guerre per il predominio del territorio che avvennero lungo le coste adriatiche e ioniche. All’interno della Porta Monumentale è stato rinvenuto un “ripostiglio di fondazione” contenente le due asce in bronzo che erano state li deposte ritualmente al momento della riedificazione delle murature della porta. Le indagini relative allo scavo e alla documentazione della Porta Monumentale presero avvio nel 1992.
L’archeologo a capo del progetto di scavo è il prof Teodoro Scarano, che ha lavorato agli scavi con gli architetti Giancarlo De Pascalis, Walter Carrozzo e Pasquale Filoni. «Sotto uno di essi erano stati sepolti e quindi consacrati ad una divinità un’ascia a occhio ed un’ascia ad alette sulla quale si intravede una decorazione che potrà essere documentata ed apprezzata solo dopo l’intervento di restaur. Rinvenimenti di questo tipo sono rari e del tutto eccezionali in Italia e ricordano analoghe scoperte effettuate in passato nella Grecia micenea».
Nella parte sottostante, quella della Porta Monumentale.  Continua il prof Teodoro Scarano «Si conserva oggi per oltre ventitré metri di spessore e raggiunge, proprio nel settore in corso di scavo, altezze conservate anche superiori a quattro metri. Era costituita da un corridoio centrale ai lati del quale si aprivano posti di guardia e passaggi che conducevano anche a torri difensive di almeno 10 metri di altezza che la rendevano visibile da grandi distanze sia dal lato di terra che dal mare».

All’interno della Porta Monumentale di Roca Vecchia inoltre, sono state ritrovate due asce in bronzo

foto di “Roca Archaeological Project”

Sono in perfetto stato di conservazione che erano state deposte ritualmente al momento della riedificazione delle murature della Porta Monumentale. Tale riedificazione sarebbe avvenuta nel corso del Bronzo Recente tra la fine del XIV ed il XIII secolo a.C., a seguito della distruzione dovuta all’assedio ed al successivo incendio datati attorno alla metà del XIV secolo a.C.

“Le asce -spiegano gli archeologi- erano state deposte ritualmente al momento della riedificazione delle murature della porta avvenuta nel corso del Bronzo Recente (tra la fine del XIV ed il XIII secolo a.C.) a seguito della distruzione dovuta all’assedio ed al successivo incendio datati attorno alla metà del XIV secolo a.C. È sulle rovine della Roca del Bronzo Medio che viene costruito infatti un nuovo muro di fortificazione adottando una tecnica mai documentata in precedenza e pressoché unica in Italia per queste fasi, quella che prevede l’utilizzo di blocchi isodomi di calcarenite cavati e squadrati. È sotto uno dei blocchi di fondazione della muratura della porta che erano stati sepolti e quindi consacrati ad una divinità questi due oggetti di prestigio: un’ascia a occhio ed un’ascia ad alette. Rinvenimenti di questo tipo sono rari e del tutto eccezionali e ricordano analoghe scoperte effettuate in passato in luoghi mitici della Grecia micenea; è bene ricordare che le porte di accesso alle città antiche erano luoghi caricati di grandi valori simbolici che non di rado erano anche oggetto di attività o azioni di carattere cultuale. La scoperta di queste due asce è di grandissimo interesse e avviene nel contesto di un intervento di indagine che non mancherà certamente di riservare ancora grandi sorprese nel corso delle prossime settimane: le murature a blocchi squadrati della porta del Bronzo Recente una volta documentate saranno infatti in parte rimosse per poter mettere in luce quelle della sottostante Porta Monumentale del Bronzo Medio, un complesso architettonico di straordinaria importanza e che al momento non ha eguali nel Mediterraneo”.


I Ripostigli di Roca Vecchia (Lecce) : analisi del materiale

di Giovanna Maggiulli


L’intera area

è colma di testimonianze risalenti a partire da oltre 4.000 anni or sono, come nella Baia di Torre dell’Orso e nella “Grotta di San Cristoforo” dove sono state rinvenute scritte epigrafiche e subacquee del VI sec. e ancora nella famosa “Grotta della Poesia” (scoperta nel 1983), che conserva migliaia di incisioni epigrafiche parietali risalenti all’epoca messapica, le quali si dipanano lungo una superficie incisa di circa 600 metri quadri e che sono in latino, greco e messapico, posta al di sopra del livello del mare. La “Grotta della Poesia” è una cavità carsica risalente all’era preistorica che, a causa dell’erosione marina e ai conseguenti crolli di volte e pareti, ha subito periodici mutamenti geologici. Il nome “Grotta della Poesia” ha origini greco-orientali, in quanto ‘Posìa’ deriva da un termine “griko” (in riferimento alla Grecìa Salentina) che indicava i luoghi dove era presente acqua dolce potabile. In questa grotta si venerava una divinità dal nome “Taodor” o Thaotor (colui che salva) e pertanto fu uno dei santuari della civiltà messapiche e greco orientali delle coste del Salento. In seguito, nell’epoca tardo medioevale del periodo angioino, Roca diventerà un importante snodo di traffico urbano con strade rettilinee e regolari che sono emerse in seguito agli scaviarcheologici. Alfonso II d’Aragona la fortificò nel 1480, in seguito alla presa dei Turchi.


da “Presenza Taurisanese – Note e cronache culturali, n. 284 giugno – luglio 2016”
di Carlo PetrachiL’AREA ARCHEOLOGICA DI ROCA TRA NUOVE IPOTESI E NUOVE SCOPERTE
Nella foto, un’iscrizione messapicaInteresse storico-culturale a parte, non è emozione da poco visitare L’Area Archeologica di Roca, specialmente se si può disporre di una guida valida e aggiornata come Liberata Del Coco (Associazione UNIROCA) che sfata le tante “certezze”, consolidatesi tra il popolino nel corso dei secoli, poi smentite dagli scavi archeologici condotti dal Prof. Cosimo Pagliara ed attualmente dal prof. Riccardo Guglielmini e dalla sua équipe.
Così le grotte lauretiche che si affacciano sulla piccola ansa di fronte al santuario ipogeo, a lungo accreditate come “basiliane”, ci si è indirizzati a ritenerle frutto del lavoro di pescatori che le hanno scavate e utilizzate come rifugi-abitazioni dal XV sec. circa ai secoli successivi, al pari di quelle di San Foca, Torre dell’Orso e Sant’Andrea.
Recentemente, in una di queste, la pietà popolare, di propria iniziativa, dopo aver ripulito il sito da erbacce e immondizie, rendendolo fruibile e raggiungibile con una scaletta in legno, vi ha posto una statuetta della Madonna.
L’Area Archeologica di Roca (non ancora interamente esplorata, ma visitabile attraverso un percorso sicuro) vanta caratteristiche uniche che la differenziano da tutti i siti archeologici del Mediterraneo, soprattutto per l’arco di tempo che la riguarda, infatti, si possono notare i resti stratificati nel corso dei millenni dall’Età del Bronzo, al periodo messapico, infine, medievale.
L’antica area rocana era ricca d’acqua fornita sia dal canale Brunese di Torre dell’Orso – una risorgiva che forse, un tempo, dava origine a un piccolo fiume, come l’Idro a Otranto – sia dal bacino lacustre vicino all’abitato (oggi palude li Tàmari), sia dalle falde freatiche. Già nell’età del bronzo la zona era ricca di frutti spontanei e chi vi arrivava e vi si insediava aveva a portata di mano le vettovaglie necessarie offerte dalla natura per la sopravvivenza, prima ancora che si iniziasse la coltivazione sistematica.
La novità è che l’antica Roca (il cui porto era la baia dell’Orso, appena fuori dalle mura rocane) non era abitata stabilmente durante tutto l’anno, ma si ripopolava nei periodi in cui la gente vi conveniva (come ad oggi) per motivi di culto ed erano possibili i commerci con chi giungeva da altre sponde, soprattutto quelle frontaliere. Allora Roca si trasformava in un ricco emporio.
Sembra sia stato finalmente tolto il velo al mistero che avvolgeva il mancato completamento delle mura messapiche di cui esiste solo il basamento. L’interruzione dei lavori è avvenuta all’improvviso in simultanea con la prima invasione romana (presa di Taranto) quando i messapi che, contrariamente alle affermazioni di Strabone, erano verosimilmente un popolo autoctono, non volendo correre rischi per la difesa di una città non ancora fortificata, preferirono fuggire. Restano, a testimonianza di ciò, la presenza di massi già tagliati, ma non ancora asportati dal banco di roccia.
Per le antiche strade e nei pressi delle abitazioni medievali, monolocali che godevano di un cortile comune, si possono notare numerosi silos ipogei per la conservazione delle granaglie. Scavati a forma di “pera”, erano a prova di infiltrazioni d’acqua e le granaglie erano conservate sottovuoto: riempito il granaio, vi si sovrapponeva una pietra circolare, dopo di che si accumulava della paglia intorno e vi si dava fuoco, provocando così la fuoriuscita di aria residua dal silos. Anche se non vi sono atti che lo confermino, Riccardo Carrozzini, a suo tempo, mi confidò come siano stati ritrovati alcuni semi d’orzo che, piantati dopo secoli di conservazione, sono germogliati.
Giungiamo infine alla Roca medievale con quel che resta del castello dei Brienne che è ormai inevitabilmente destinato a collassare nel mare sottostante. Secondo la tradizione popolare fu distrutto dai turchi e incendiato. A conferma di ciò ci si sono messe anche delle fonti “credibili” come Alessandro Pagnano il quale relaziona (4 ottobre 1480) che il “castello de Rocha tucto è stato abbrusato da li Turchi” (Cancelleria ducale dell’Arch. di Stato di Modena). Akmet Pascià, comandante la flotta turca nel 1480, con i suoi soldati (in maggioranza albanesi) conquistò facilmente Roca e vi stette solo due giorni, dopo di che preferì impegnarsi a consolidare la conquista di Otranto (A. Saracino, “Roca e il Salento” – Capone Ed. 1980).
Che a Roca le truppe turche abbiano creato danni, stando alla storiografia più nota, non v’è dubbio, ma gli scavi archeologici non hanno confermato indizi di presenza turca, né sono state ritrovate tracce d’incendio riferibili al Medioevo e il fuoco lascia segni indelebili non per secoli, ma per millenni e millenni. A distruggere e radere al suolo il castello e la città di Roca fu lo stesso “padrone di casa”, Carlo V che, dovendo difendersi tanto dalle frequenti invasioni piratesche, quanto (se non soprattutto) da alcuni baroni nemici del suo impero che a Roca trovavano rifugio, ne decretò l’abbattimento nel 1545, con relativo interramento dei pozzi d’acqua. Nel contempo si iniziò la costruzione di una piccola cittadina a circa 2 km dal mare che prese il nome di Roca Nuova e l’imperatore ordinò la costruzione delle torri guardia su tutto il litorale con funzioni avvistamento. In caso di arrivi sospetti dal mare veniva dato l’allarme: “Mamma, li turchi!” e gambe in spalla.
Ad ogni modo, credo che la più grande emozione l’avremo quando sarà fruibile la grotta Poesia piccola. Il nome Poesia (a Calimera la si chiama Posìa, dal greco pino = bevo) sta ad indicare che nel luogo, il cui fondo oggi è invaso dal mare, vi era certamente una polla d’acqua sorgiva. È il tempio del dio Thaotor Andirahas (Tutor Andraius per i romani) al cui interno vi sono circa 600 mq e più di iscrizioni graffite sulle pareti rocciose, in latino, in greco e in messapico, oltre ad alcuni simboli protostorici quali una testa di toro e una doppia ascia. Non sempre le iscrizioni della Poesia sono di facile comprensione, sia perché molte sono sovrapposte, sia perché spesso sono scritte senza la separazione delle varie parole, sia perché la conoscenza della lingua messapica è, in gran parte, di là da venire.
Tanto il De Simone, quanto il Pagliara – che più d’ogni altro si è dedicato anche alla decifrazione e traduzione delle epigrafi – tra le altre iscrizioni, si sono interessati anche allo studio della seguente: “Dazoma Dazinnaha Akkrettii Thaotori Andiraho ipigrave aton” che, stando alle loro indicazioni, potrebbe significare: “Dazoma Dazinna (della famiglia di) Accrette, a Thaotor Andirahas dedica […].

di Carlo Petrachi

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Ricerche a cura del dott Giovanni Greco;
dott in Conservazione dei Beni Culturali, con laurea in archeologia industriale, è studioso e autore di numerose ricerche sul Salento, Erasmus in Germania nel 1996, ha viaggiato per venti anni in Italia e in Europa, ha lavorato un anno in direzione vendite Alitalia nell’aeroporto internazionale di Francoforte, ha diretto per cinque anni la sezione web di un giornale settimanale cartaceo italiano a Londra, libero professionista, videomaker, artista raku, poeta, webmaster, blogger, ambientalista, presentatore, art director, graphic designer, speaker radio, giornalista freelance Internazionale iscritto presso l’agenzia GNS Press tedesca, collabora come freelance con diverse realtà sul web e sul territorio locale. Dal 1998 è direttore responsabile della rivista on line “BelSalento.com – arte, storia, ambiente, politica e cultura della Terra dei Due Mari – Servizi di Fruizione Culturale”. BelSalento è un progetto a cura del dott Giovanni Greco

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