Le pipe di terracotta del Salento

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ricerche a cura del dott Giovanni Greco

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Le pipe di terracotta del Salento

Le pipe sono legate all’uso del tabacco, che nel Salento è arrivato nel 1700 – 1800. L’uso del tabacco da fumo nel Regno di Napoli, risale alla metà del XVI secolo. Il proibizionismo di Papa Innocenzo X, fu abolito nel regno di Napoli dal re Ferdinando IV che riuscì ad imprimere un grande aiuto all’economia agricola del meridione.

Esempi dell’uso di pipe le abbiamo anche nel 1500, ma sino ai primi del Novecento le pipe in creta modellata a mano e dal fumo acre, sono state uno degli oggetti più frequenti tanto che in ogni casa come in ogni luogo di lavoro, la pipa in creta è stata parte del costume di molte generazioni dei nostri antenati. Erano parte dello stile e del modo di vivere dei nostri avi, nonchè erano molto comuni nel mondo dei lavoratori della terra e dei frantoiani, come anche nelle taverne o nelle “puteche” salentine, dove solitamente ci si incontrava per bere, mangiare e fumare. Si viveva da parecchio in quel mondo e in quel modo, un mondo e un modo di vivere che restava sempre lo stesso. Come da tradizione. Un mondo antico che comunque sia oggi non c’è più. Con l’avvento del modernismo, di nuovi stili di vita e materiali, quando sono andati via i contadini dalle terre e con la trasformazione industriale, in particolare nel secondo dopoguerra chiusero molte attività artigianali e soprattutto si arrestò il ricambio generazionale per la produzione di manufatti in argilla cotta nei forni a legna.

Altre tipologie di pipe erano fatte in pietra. Le classi più agiate dai gusti raffinati usavano pipe prodotte con materiali di maggior pregio come le tipiche pipe di radica. Poi esistevano anche le Pipe per fumare l’oppio come nel dettaglio qui accanto. Ne sono state trovate alcune nei frantoi in Gallipoli, cittadina dove avveniva il cambio di merce per via della produzione e vendta dell’olio.


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Le pipe in argilla (creta) venivano modellate manualmente e poi con l’uso di stampi, venivano cotte nei forni a legna, assieme ai cocci, ai fischietti e ad ogni altro tipo di vasellame e quindi vendute nei giorni di mercato. Questa tecnica di cottura della terracotta è rimasta invariata per millenni, tra l’altro. In genere erano gli anziani a fumare la pipa; e queste in terracotta avevano il bocchino che si otteneva  con un pezzetto di noce che si bucava con un ferro. La fornace era collegata ad una lunga cannuccia naturale leggermente ricurva più o meno lunga. Ottimo espediente per raffreddare il fumo e renderlo molto meno dannoso. Dai fusti dei “cannizzi” (le comuni canne del tavoliere di Terra d’Otranto) si ricavavano le cannuccie per i bocchini che venivano innestate nel corpo della pipa. Il proverbio salentino rammenta questa funzione “ci uei cu fumi tuttu l’annu pippa te crita e cannuccia te canna“. La cannuccia era ricavata anche dalle ossa del femore della lepre, le “sartariéddhre” che divenivano cannelli da pipa o bocchini per la pipa. 

In genere queste pipe in terracotta costavano poco, per cui quando si usavano frequentemente, venivano gettate via e ricambiate con una nuova pipa. Sono molto comuni se ne trovano ovunque nelle campagne. Quelle in terracotta spesso hanno vari disegni come : volti o animali vari leoni, aquile … Ma dal tipo di decorazione si può risalire ad una datazione. Ad esempio quelle lisce e allungate sono del 1700; quelle antropomorfe (anche con cappello militare) sono del periodo borbonico, mentre quelle striate con piede a bottone sono di fine 1800 primi 1900.

Nel mio giardino a Salice ho trovato questa pipa intatta in terracotta, credo del 1500. Era accanto ad una “calchiera” entrambe sommerse dalla terra. Si trovano a 5 metri dalla colonna protogotica con trifora antica sede del Sedile del 1200 o 1300.

Qui di seguito il mini video documentario sul restauro conservativo fatto in quei vani adiacenti al giardino e alla colonna

 

 

 


Da una ricerca archeologica APIGLIANO – UN VILLAGGIO BIZANTINO E MEDIEVALE IN TERRA D’OTRANTO I REPERTI” a cura di P. Arthur, M. Leo Imperiale, M. Tinelli, nell’articolo “Le pipe in terracotta” di Brunella Bruno cfr : https://www.academia.edu/12409431/Apigliano._Un_villaggio_bizantino_e_medievale_in_Terra_d_Otranto._I_Reperti?auto=download, apprendiamo che:

Gli scavi nel villaggio di Apigliano hanno restituito cinque pipe in terracotta, in gran parte provenienti da contesti di superficie. Le pipe che si diffondono in Italia, per lo più di tradizione ottomana, erano realizzate  principalmente in terracotta e legno. Questi manufatti erano composti da un fornello di forma  circolare, dove avveniva la combustione, e di un corto cannello con un rigonfiamento all’estremità per l’inserimento di un lungo stelo in legno. Molto differenti erano le pipe del nord Europa, realizzate in caolino in un solo pezzo e con la cannula molto allungata. Anche se in numero decisamente inferiore rispetto a quelle di tradizione ottomana, le pipe di fattura occidentale (western white clay pipe) erano importate anche in Puglia. Dall’isola di S. Pietro a Taranto, occupata nel corso del XIX secolo prima dalle truppe francesi e poi ritornata sotto il controllo italiano, proviene un esemplare in argilla chiara privo della cannula con impresso il marchio identificativo. Le pipe in terracotta erano realizzate a stampo all’interno di matrici in metallo, come il bronzo, o in pietra. Nel mondo ottomano, la realizzazione della pipa (lüle) prevedeva diversi passaggi, ognuno dei quali affidati a maestranze specializzate all’interno della stessa officina. L’argilla, molto fine e depurata, era pressata tra le due valve dello stampo e lasciata asciugare; poi, quando l’argilla era ben asciutta, la pipa era estratta dalla matrice e veniva praticato il foro interno. Il manufatto era, quindi, immerso in una vernice dello stesso colore dell’argilla o differente. A questo punto esso poteva essere decorato con motivi di vario tipo, geometrici, vegetali e più raramente iscrizioni. Anche il marchio identificativo era impresso in questa fase. La pipa era pronta per la cottura, ma poteva essere immersa nuovamente nella vernice, pulita o lucidata e finalmente cotta a temperatura molto bassa. Quindi era pronta per essere venduta (de Vincenz 2014, p. 71).
La produzione delle pipe in terracotta è strettamente intrecciata con la diffusione del tabacco nel vecchio Continente. La pianta del tabacco era giunta in Europa dal Nuovo Mondo nella metà del XVI secolo, introdotta per la prima volta nella Spagna di Filippo II. Tuttavia, l’utilizzo del tabacco da pipa si diffonderà alla fine dello stesso secolo dall’Inghilterra, ma sarà il mondo ottomano a diffondere l’uso di fumare la pipa e malgrado gli iniziali divieti, diventerà una pratica seguita da tutte le classi sociali dell’Impero (Robinson 1985, pp. 150-151).
Nei secoli successivi tale abitudine si diffonderà ulteriormente e anche in Italia tra XVIII e XIX secolo si assiste alla diffusione di massa del tabacco e delle pipe.
Di pari passo, anche la coltivazione del tabacco crebbe a partire dal XVII secolo con la creazione di aree specializzate nella produzione di particolari specie. In ritardo rispetto ad altre aree del Mediterraneo come la Grecia, in Terra d’Otranto la coltivazione della pianta si diffuse a partire dalla fine del XVIII secolo con la coltura di specie destinate ad ottenere prodotti da fiuto, la cosiddetta polvere leccese, molto apprezzata sui mercati nazionali. Nel volgere di pochi decenni, grazie alle caratteristiche naturali del territorio (clima secco, terreno argilloso e poco profondo, mancanza di acqua di superficie), l’industria del tabacco si era diffusa ovunque nel Salento giungendo negli anni ’20 del Novecento a contare ben 500 imprese che lavoravano nel settore (Trono, Pesare 2008, pp. 146-147). A fronte di una produzione così elevata, è legittimo ipotizzare che una parte fosse destinata al mercato interno, magari come tabacco da pipa.
Pur trattandosi di una classe di oggetti molto comune nei contesti postmedievali, scarseggiano a tutt’oggi in Italia, ed in particolare nella parte meridionale della penisola, studi sistematici a carattere tipologico e cronologico su questi oggetti, relegati nel mondo del puro collezionismo. Nel Salento, a fronte di un numero sempre maggiore di ritrovamenti di pipe in contesti rurali ed urbani, come da progetti di ricognizione topografica, poche sono al momento le pubblicazioni archeologiche in cui è stata presentata questa classe di materiali.
Tra le pipe rinvenute nel villaggio di Apigliano, solo due esemplari sono parzialmente completi sia del fornello che del cannello. La fattura è abbastanza rozza con tracce di sbavatura dell’argilla nelle finiture. La decorazione, molto semplice, era presumibilmente incisa nelle matrici più che essere applicata in una fase successiva. Ad eccezione di un solo manufatto, tutte le pipe presentano un impasto chiaro in genere di colore rosato con tracce di un rivestimento di colore rosso di cui, visto il grado di conservazione, è difficile stabilire il grado di brillantezza. Solo una pipa (SF 1005), conserva un impasto di colore rosso con il rivestimento dello stesso colore particolarmente lucido.Nel primo manufatto (area VI, US 1000), il fornello è cilindrico ed è decorato da una fascia con scannellature verticali. Lo stesso motivo è ripreso all’estremità del corto cannello. Il secondo (area X, US 1800, SF 624) è mancante, come il precedente, della parte superiore del fornello.
Il fornello è solcato da profonde scannellature, mentre l’orlo del cannello è evidenziato da una fascia arrotondata. Tra gli oggetti frammentari, il primo (area IV, US 605, SF 25) conserva parte del fornello circolare decorato da semplici solcature longitudinali e parallele. Quasi certamente tutto il corpo della pipa doveva essere attraversata da solcature, come si può ipotizzare sulla scorta di confronti con esemplari integri provenienti da altri siti.
Nel secondo frammento (area VIII, US 1407, SF 371) il fornello ha la forma di un sacchetto decorato da solcature verticali. L’ultimo frammento (F.C., SF 1005) è probabilmente da identificare con la parte terminale del fornello decorato da una serie di puntini disposti intorno ad un fiore incompleto (una ghirlanda?). L’impasto più depurato rispetto ai precedenti, il rivestimento stralucido oltre alla delicatezza del motivo floreale, suggeriscono una produzione più raffinata rispetto alle pipe solitamente note per il Salento. Le pipe rinvenute ad Apigliano appartengono a tipologie largamente diffuse nei contesti archeologici postmedievali in diverse aree della penisola. Pipe simili sono state ritrovate, nell’ultimo decennio, nello scavo di Piazza Caporali a Castel Frentano, Chieti (Verrocchio 2002), e durante un progetto di ricognizione in Molise (White 2007).
In ambito salentino, le pipe rinvenute ad Apigliano trovano confronti stringenti con quelle rinvenute a Borgo Terra, Muro Leccese, rinvenute in un contesto piuttosto peculiare.
Dei 18 manufatti recuperati, ben 15 provengono dall’area dove, fino agli inizi del XX secolo, era in uso un’osteria, la Taverna Chiri. Presumibilmente era un luogo di socializzazione dove gli uomini si incontravano per discutere, fumare e forse bere il caffè e consumare pasti67, alla stregua delle caffetterie nel mondo ottomano (Gelichi, Sabbionesi 2014, pp. 99-102).
La nutrita raccolta di pipe in terracotta conservate nella chiesa di San Giorgio a Racale (LE) comprende esemplari di fattura comune, simili a quelli rinvenuti ad Apigliano accanto a pipe di fattura più ricercata, con il fornello decorato da motivi floreali, visi dai tratti minacciosi e manufatti con la raffigurazione di militari con indosso copricapi ottocenteschi. Se si esclude un frammento con impasto di colore rosso, le pipe di Apigliano non presentano caratteristiche tipologiche tali da ipotizzarne un’importazione da altre aree della penisola. Si tratta presumibilmente di oggetti prodotti nel Salento ma nulla ancora si conosce sui luoghi di produzione e sulle maestranze. Gran parte degli oggetti rinvenuti nel territorio salentino, sono sprovvisti di marchi identificativi. Tuttavia una delle pipe di Racale reca impresse, lungo il fornello, quattro lettere in maiuscolo, di cui solo tre sono identificabili (… A C V). L ’ oggetto ha un fornello parzialmente conservato e un corto cannello dall’estremità ingrossata. La superficie è decorata da solcature verticali. L’impasto è di colore grigio con tracce del rivestimento di colore rosso.
Per le pipe di Apigliano, certamente è da escludere un utilizzo da parte degli abitanti del villaggio, ormai abbandonato da almeno tre secoli. Le pipe sono probabilmente da mettere in relazione con la presenza nel feudo di Masseria Apigliani, di proprietà agli inizi del XVIII del principe di Mesagne“.


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Ricerche a cura del dott Giovanni Greco;
dott in Conservazione dei Beni Culturali, con laurea in archeologia industriale, è studioso e autore di numerose ricerche sul Salento, Erasmus in Germania nel 1996, ha viaggiato per venti anni in Italia e in Europa, ha lavorato un anno in direzione vendite Alitalia nell’aeroporto internazionale di Francoforte, ha diretto per cinque anni la sezione web di un giornale settimanale cartaceo italiano a Londra, libero professionista, videomaker, artista raku, poeta, webmaster, blogger, ambientalista, presentatore, art director, graphic designer, speaker radio, giornalista freelance Internazionale iscritto presso l’agenzia GNS Press tedesca, collabora come freelance con diverse realtà sul web e sul territorio locale. Dal 1998 è direttore responsabile della rivista on line “BelSalento.com – arte, storia, ambiente, politica e cultura della Terra dei Due Mari – Servizi di Fruizione Culturale”.
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a cura di Giovanni Greco

17 Commenti su “Le pipe di terracotta del Salento”

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