La soppressione delle corporazioni religiose in Terra d’Otranto dal 1862 al 1881

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La soppressione delle corporazioni religiose in Terra d’Otranto dal 1862 al 1881

 

“Terra D’Otranto nella seconda metà dell’Ottocento” , Italgrafica, Oria, 1984 (Testo della collezione privata del dott Giovanni Greco)

I primi interventi del neonato Regno d’Italia sul ricchissimo patrimonio culturale in corso di annessione, riguardarono la soppressione di varie corporazioni religiose – sparse in tre distinti territori. L’intera operazione sarà poi completata nell’intera nazione nel 1866 e infine estesa a Roma nel 1873. Nel 1861, il neonato stato sabaudo doveva impadronirsi del potere. Quindi cancellò la memoria e gli archivi secolari del mondo cattolico in primis – appunto per cancellare la memoria storica dei luoghi appena conquistati e annullare le testimonianze del passato culturale, sociale, economico e politico dei territori del meridione; inoltre così facendo, si potè “impedire ogni forma di contestazione da qualsiasi rappresentante del corpo sociale“, in definitiva “significava conquistare con la forza della sopraffazione sociale quello status di possidente terriero che ha caratterizzato le borghesie meridionali e le cui conseguenze si sentono ancora oggi“. Cfr : http://www.sa-ero.archivi.beniculturali.it/fileadmin/template/allegati/pubblicazioni/Fiorano/Conseguenze_arch_eccles-Mo_2012.pdf

La soppressione degli ordini religiosi aveva obiettivi finanziari, economici, sociali, ideologici e politici. Si scardinava un ricco e un notevole patrimonio culturale secolare fatto di chiese, conventi, chiostri, ma anche di arredi, archivi, biblioteche, quadri, monili … che era stato commissionato, incrementato, conservato e accudito proprio da quegli stessi ordini soppressi dal governo sabaudo.

Furono venduti terreni misti, ed oliveti; il totale delle vendite realizzate attraverso la “Società anonima” superava gli otto milioni di £. Attraverso la vendita dei beni ecclesiastici si venne a creare una nuova classe sociale (dice Annalisa Bianco in “La Vendita dei Beni Ecclesiastici). Ma per l’acquisto dei lotti (anche quelli piccoli avevano un valore molto caro), furono esclusi coloro che non disponevano dei capitali necessari. Solo le terre con scarsa resa furono vendute a basso prezzo; mentre quelle ad alta resa furono poste all’incanto con un valore che talvolta arrivava al doppio di quello di apertura. Gli unici a trarre vantaggio dalla vendita dei beni della Chiesa furono una cordata di ricchi imprenditori agrari che poterono accaparrarsi notevoli estenzioni di terreni di buona qualità. In particolare le “Congregazioni di Carità” acquistarono fabbricati ed ospizi che destinarono poi ad ospedali, lazzaretti, asili e scuole.

Il patrimonio culturale claustrale subì così un triplice trasferimento:
1) Ne fu trasferita la proprietà; passando dagli ordini religiosi alla nascente nazione. Terminava così l’era in cui il clero esercitava la tutela di quei beni; questa veniva trasferita all’autorità pubblica incaricata della ‘tutela legale’.
2) Ne fu trasferita la collocazione: in quanto la maggior parte di quel patrimonio fu trasferito da chiese e conventi a musei, biblioteche, archivi, palazzi comunali e altri nuovi spazi laici.
3) Ne fu trasferito il senso: giacchè quel patrimonio artistico e librario prima tutelato in chiese, conventi, chiostri … una volta musealizzato o posto nelle biblioteche, cominciò a perdere il suo “naturale” valore cultuale per lasciar posto al più generico valore culturale. Il patrimonio edilizio divenne funzionale a nuovi utilizzi come caserme, scuole ospedali, carceri tribunali. Il patrimonio  archivistico divenne utile allo stato sabaudo per documentare i beni ex claustrali indemaniati, divenendo poi strumento di soppressione e di liquidazione dell’asse ecclesiastico.
Fra il 1862 e il 1881 nei circondari di Brindisi e Taranto vennero effettuate 2873 vendite dei terreni dei lotti degli ordini religiosi soppressi. I beni che il Governo incamerava dai monasteri riguardavano: fabbricati (stalle, botteghe. trappeti, abitazioni, ospizi) e terreni (semensati, oliveti, veneati, macchiosi, masserizi); quei terreni componevano un paesaggio agrario di migliaia di ettari di oliveti, vigneti e frutteti. Le masserie furono vendute assieme ai fabbricati rurali in un unico lotto, mentre i restanti terreni furono posti all’incanto in piccole dimensioni.

LA VENDITA DEI BENI ECCLESIASTICI IN TERRA D’OTRANTO dal 1862 al 1881

di Annalisa Bianco
Cfr : “LA TERRA D’OTRANTO NELLA SECONDA META’ DELL’OTTOCENTO“, Italgrafica, Oria, 1984, pagg 38-57 (Testo della collezione privata del dott Giovanni Greco)
Il materiale documentario si trova nei vari uffici dell’Intendenza di Finanza dell’archivio di Lecce; in particolare la sezione più importante è costituita da 56 buste con migliaia di contratti di vendita di beni ecclesiastici che consentono di ricostruire il patrimonio monastico confiscato … e un quadro chiaro di quello che comportò per i conventi di Terra d’Otranto la soppressione sabauda.
Fu così che con la legge del 17 febbraio 1861 (Raccolta Ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia, vol I, anno 1861, pag 726-736) Eugenio di Savoia, luogotenente del regno, dichiarò decaduto il concordato stipulato il 16 febbraio 1818 tra il Regno delle due Sicilie e la Sede Apostolica. Lo Stato unitario decretò la soppressione di ogni ordine monastico la cui attività non era volta verso opere di pubblica utilità. Fu istituita la Cassa Ecclesiastica e col decreto n° 251 venne estese alle province napoletane ciò che lo Stato sabaudo aveva già legiferato in materia ecclesiastica il precedente 29 maggio 1855.

L’art. 1 dichiarava soppressiquali enti morali riconosciuti dalla legge civile tutte le Case degli ordini monastici di ambo i sessi esistenti nelle provincie napoletane, non escluse le Congregazioni regolari, ad eccezione di quelle che saranno designate con nostro successivo decreto come benemerenti per riconosciuti servigi che rendono alle popolazioni nella sana educazione della gioventù, nell’assistenza agli infelini, ed in altre opere di pubblica utilità”’ (…) I beni posseduti al momento della soppressione passavano in amministrazione alla Cassa Ecclesiastica dello Stato. La Direzione della Cassa doveva procedere “immediatamente alla presa di possesso e alla formazione dell’ inventario degli stabili, mobili, crediti e rendite …” (…) Ai religiosi, che potevano continuare a vivere comunitariamente nei loro conventi, o essere concentrati in altri conventi designati dal Governo, veniva assegnata una pensione (Collezione delle leggi e de’ decreti emanati nelle provincie continentali dell’Italia meridionale durante il periodo della luogotenenza, vol. 1 Decreto n° 251, Napoli 1861, p.727-728).

Molti conventi si vuotarono, in altri qualche religioso rimase fino alla effettiva esecuzione della legge nel dicembre del 1866. Nei pochi casi in cui il Governo ordinò la concentrazione in sedi lontane o di altri ordini, i religiosi si opposero e preferirono tornare in famiglia o presso parenti.
I membri di ordini ricevevano una pensione annua corrispondente ai beni posseduti, ma non superiore a 120 ducati per ciascun religioso. La pensione annua dei servienti non professi ammontava a ducati 60 per coloro che avevano compiuto 40 anni di età e avevano prestato servizio per 10 anni, di ducati 30 per i quarantenni che avevano prestato servizio per oltre un triennio.
Il 21 agosto 1862 i beni immobili devoluti alla Cassa Ecclesiastica nel 1861 passarono al demanio dello Stato e in corrispettivo veniva iscritta sul Gran Libro del debito pubblico, in nome della Cassa Ecclesiastica, una rendita del 5% uguale alla rendita dei beni passati al demanio (Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del regno d’Italia, anno 1862, vol IV, Stamperia Reale, decreto n° 794, art.1, art.2, p.2043).

Il 13 ottobre 1864 il ministro delle finanze Quintino Sella, per incamerare in tempi brevi congrue somme di denaro, stipulò una “Convenzione” con i “Promotori di una Società anonima” per la vendita dei beni demaniali. I promotori erano : Felice Genero (Banco di Sconto), Giacomo Lacaita (Presidente del Comitato della Società Anonima per le terre italiane), D. Balduino (Società generale di credito mobiliare italiano), Teodoro Alfurno e C. Perrazzi (Cfr : Raccolta Ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia, vol. X, anno 1864, p. 1594 – in “LA TERRA D’OTRANTO NELLA SECONDA META’ DELL’OTTOCENTO”, Italgrafica, Oria, 1984, p. 41). In particolare si stabiliva che i promotori della Società anonima, avrebbero dovuto procedere alla “vendita a nome e per conto del Governo dei beni demaniali a partire dal 1 gennaio 1865″.

Furono venduti terreni misti, ed oliveti; il totale delle vendite realizzate attraverso la “Società anonima” superava gli otto milioni di £. Cfr : “LA TERRA D’OTRANTO NELLA SECONDA META’ DELL’OTTOCENTO”, Italgrafica, Oria, 1984
Con I’art. 5 del decreto n° 3036 del 1866 veniva stabilito l’ammontare della pensione data ai membri delle corporazioni e degli ordini religiosi soppressi. Ai religiosi si concedeva un annuo assegno di £ 600 se avevano compiuto i 60 anni di età; £ 480 a coloro che avevano da 40 a 60 anni di età; £ 360 ai più giovani.
Ai laici e conversi £ 300 da 60 anni in sù, £ 240 dai 40 ai 60 anni e £ 200 per chi aveva meno di 40 anni.
Per i religiosi e le religiose coriste degli ordini mendicanti, indipendentemente dall’età e dalla data della professione: £ 250. Per laici e conversi degli ordini mendicanti, £ 144 per chi aveva 60 anni di età, e 96 per chi aveva meno di 60 anni di età.
Infine veniva concesso un sussidio una tantum di £ 100 agli inservienti d’ambo i sessi che da un decennio servivano in un convento esistente nel Regno e uno di £ 50 a coloro che prima del 18 gennaio 1864 avevano servito per meno di dieci anni 18.
Il regolamento per l’esecuzione della legge del 1861 fu emanato il 7 luglio 1866.
La consegna al ricevitore degli stabili, dei preziosi e della suppellettile dei conventi e delle chiese fu fatta nel dicembre 1866.

In pratica l’episcopato liquidava tutto l’asse ecclesiastico, convertendolo in beni mobiliari e versando allo Stato 100 milioni annui per la durata di sei anni. E nonostante le proteste (dell’intero mondo ecclesiastico meridionale in particolare) lo Stato sabaudo nel 1866 portò a termine il progetto di disgregare il clero liquidando l’intero asse ecclesiastico esistente sino al regno Borbonico.

Alla proposta dello Scialoia fece seguito una forte opposizione del clero e del laicato cattolico, come riporta la rivista “La civiltà cattolica”: La legge di nuova spogliazione della Chiesa proposta dal ministro Scialoia (Serie VI, vol. IX, fasc. 406, 1 febbraio 1867, pp. 385-402); Le ragioni di alcuni cattolici per consigliare al clero l’adesione alla legge dello Scialoia (Serie VI, vol. IX, fasc. 408, 2 marzo 1867, pp. 641-661).

Nella “Raccolta delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, anno 1867, vol. XIX, Firenze, Stamperia Reale, decreto n° 3848, p. 1323, si legge che con la legge del 15 agosto 1867 lo stato sabaudo determinava la  negazione della qualifica di enti morali e della capacità giuridica di possedere, rivolta a cattedrali, collegiate, chiese ricettizie, commende, capellanie corali, canonicati, benefici, cappellanie di patronato regio e laicale, abbazie, priorati, prelature. Tutti i beni di questi enti vennero devoluti al demanio; ossia alla casa Savoia.

Conventi soppressi = ettari di terreno incamerati

Il Mazzotta (giustamente a mio avviso), sostiene che “la soppressione sabauda e quella francese furono due operazioni speculari“. Dice (il Mazzotta) che “secondo Roeder, ministro delle Finanze nel decennio francese, bisognava eliminare il latifondo monastico per migliorare l’agricoltura e aumentare la ricchezza del regno e conseguentemente delle popolazioni. E prosegue (sempre il Mazzotta) dicendo che per Ferrara, ministro delle Finanze sabaudo, l’eliminazione della proprietà monastica, incolta o mal coltivata, era il necessario presupposto per trasformare l’agricoltura in uno strumento di ricchezza a beneficio della collettività e in primo luogo della classe contadina. Uguali le premesse, uguali le modalità di esecuzione della confisca e uguali anche gli esiti. Infatti, i due progetti, nella fase esecutiva, dal mondo delle idee andarono a finire sul tavolo dei contabili del Ministero delle Finanze, come una qualunque operazione di bilancio. La soppressione francese, dal punto di vista quantitativo, cioè per il numero dei conventi soppressi e degli ettari di terreno incamerati, fu certamente più ampia, ma non necessariamente più rilevante (…) Dalla carta geografica monastica della Terra d’Otranto la soppressione murattiana su 193 conventi ne cancellò 165 (85,49%) con oltre 900 religiosi, sacerdoti e laici, e incamerò 22326 ettari di terreno sativo, 3218 di oliveto, 450 di vigneto, 249 di giardino, 2571 di macchia, 553 di bosco e una estensione non precisata con 16986 alberi di olivo. Il patrimonio zootecnico registrato nelle masserie era di 141 bovini, 5365 ovini e un numero di vaccini valutato 16613 ducati (…) quando fu possibile il fabbricato fu smembrato e si vendettero a parte posture di olio, magazzini, pagliere, stalle e altri locali adatti a diversi usi (…) i conventi femminili presenti in Terra d’Otranto nel 1861 erano conventi (…) che avevano alle spalle secoli di storia durante i quali avevano accumulato vistosi patrimoni, che in certi casi erano veri latifondi (…)

Dai contratti della vendita dei beni ecclesiastici venduti tra il 1866 e il 1881 si ricava che in Terra d’Otranto furono confiscati 1759 ettari di sativo, 1350 di oliveto, 116 di vigneto, 81 di giardino, 633 di macchia, 4 di bosco e 16205 di terreno a coltura mista, cioè terre di masserie in cui al terreno per il sativo si associavano gli oliveti, il prato e la macchia. Pure consistente fu la massa dei fabbricati urbani confiscati: 167 caseggiati o casamenti, cioè stabili con una decina di vani, 127 monolocali, 39 case di abitazione, 40 botteghe, 15 magazzini, 13 trappeti, 8 cantine e 3 posture.

 

 Cfr : La soppressione dei conventi in Terra d’Otranto durante il decennio francese

La soppressione dei conventi in Terra d’Otranto durante il decennio francese

Cfr : Il mondo agrario salentino nel primo ventennio postunitario

Il mondo agrario salentino nel primo ventennio postunitario

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dott in Conservazione dei Beni Culturali, con laurea in archeologia industriale, è studioso e autore di numerose ricerche sul Salento, Erasmus in Germania nel 1996, ha viaggiato per venti anni in Italia e in Europa, ha lavorato un anno in direzione vendite Alitalia nell’aeroporto internazionale di Francoforte, ha diretto per cinque anni la sezione web di un giornale settimanale cartaceo italiano a Londra, libero professionista, videomaker, artista raku, poeta, webmaster, blogger, ambientalista, presentatore, art director, graphic designer, speaker radio, giornalista freelance Internazionale iscritto presso l’agenzia GNS Press tedesca, collabora come freelance con diverse realtà sul web e sul territorio locale. Dal 1998 è direttore responsabile della rivista on line “BelSalento.com – arte, storia, ambiente, politica e cultura della Terra dei Due Mari – Servizi di Fruizione Culturale”.
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