la Piccola Era Glaciale in Europa tra il XVI e XIX secolo

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ricerche a cura del dott Giovanni Greco

Dal XVI secolo fino alla metà del Settecento in tutta Europa vi fu un lungo inverno talmente rigido conosciuto con il nome di “Piccola Età Glaciale” (PEG).

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Già i primi decenni del 1600 iniziò il periodo noto come della “Piccola Età Glaciale” (PEG), caratterizzato dal declino di una lunga fase di crescita demografica, associato a un calo dei salari reali. quellla fu l’ultima volta che è accaduta un’era glaciale in Europa e causò inverni molto freddi in molte parti del mondo; ma sono documentati dettagliatamente soltanto in Europa ed in America del Nord. Nella metà del diciassettesimo secolo i ghiacciai delle Alpi svizzere avanzarono gradualmente inglobando fattorie e distruggendo interi villaggi. Il fiume Tamigi ed i canali dei fiumi dei Paesi Bassi si congelarono spesso durante l’inverno e la gente pattinò e perfino tenne fiere sul ghiaccio. Nell’inverno del 1780 il porto di New York ghiacciò, consentendo alle persone di camminare da Manhattan a Staten Island. In particolar modo, viene ricordato l’Inverno 1709 che, secondo gli esperti, è considerato il più freddo degli ultimi 500 anni per il continente Europeo.


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Cause della Piccola Età Glaciale

Gli scienziati hanno identificato due possibili cause principali per la piccola era glaciale: la diminuzione dell’attività solare e l’aumento dell’attività vulcanica. Tuttavia, mancando degli elementi certi ed assoluti, vi sono molte altre ipotesi che tentano di spiegarne le cause. Approfondimenti qui http://www.evoluzioneclima.it/articoli-clima/verso-una-nuova-peg/?lang=it

Nello studio degli eventi climatici poi, il crollo dell’attività solare è notoriamente chiamato “Minimo di Maunder(dall’astronomo Edward Maunder) – il Minimo di Munder è il nome dato al periodo che va circa dal 1645 al 1715 che fu caratterizzato da una attività solare molto scarsa, ovvero una situazione in cui il numero di macchie solari divenne estremamente basso. Quando si verificò il Minimo di Maunder, esso fu brusco, tanto che avvenne in pochi anni e senza alcun fenomeno precursore; mentre durante la sua fase finale, tra il 1700 ed il 1712, l’attività solare riprese gradualmente ad aumentare. Le macchie solari (l’attività del sole) sembra quindi abbiano una influenza sul fenomeno del riscaldamento terrestre e quindi su una ipotetica mini era glaciale in arrivo. Negli anni Settanta del ‘900, l’astronomo americano John A. Eddy ha richiamato l’attenzione il fatto che tra il 1645 e il 1715, proprio in pieno periodo di raffreddamento, le macchie solari scomparvero quasi del tutto dalla superficie della nostra stella. Eddy con una serie di controlli sulle antiche osservazioni solari di cui già si era occupato Maunder e su altre fonti, è giunto infatti alla conclusione definitiva che in realtà le macchie quasi scomparvero dal Sole per circa 70 anni proprio in coincidenza con il cuore della piccola era glaciale. Da un secolo e mezzo è noto che le macchie aumentano e diminuiscono seguendo un ciclo (però irregolare) di 11 anni. Alcuni cicli sono caratterizzati da migliaia di macchie, altri da poche decine. Tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, in ottant’anni, furono registrate meno macchie di quante di solito si osservano in un singolo ciclo undecennale. Secondo l’americano “National Snow and Ice Data Centre” in Colorado (Centro dati neve nazionale), il ghiaccio estivo del mare artico è aumentato di 409.000 metri quadri, il 26 per cento, dal 2007: persino i più devoti attivisti del Global Warmin non lo discutono. L’attività delle macchie solari infatti è sempre sotto l’osservazione degli astronomi. E il comportamento del Sole si sta rivelando diverso dal previsto: anziché avvicinarsi alla sua massima attività, il dinamismo della nostra stella pare attenuarsi, con uno sviluppo di macchie solari molto inferiore alla norma. Questo potrebbe portare il Sole ad un nuovo ‘minimo di Maunder‘, il periodo di 70 anni che trascorse tra il 1645 e il 1715 durante il quale sul Sole non erano presenti macchie. E siccome in quegli anni sulla Terra si registrò una piccola glaciazione, alcuni scienziati prevedono che questa condizione si possa ripresentare. Secondo i nuovi dati rilasciati la settimana scorsa dal Met Office e l’Università della Ricerca East Anglia Unità climatiche (di fama Climategate), c’è una possibilità del 92 % che i cicli delle macchie solari nei prossimi decenni saranno deboli come, o più debole rispetto al Minimo di Dalton (dal 1790 al 1830 – Il Minimo di Dalton fu un periodo di bassa attività solare che andò dal 1790 al 1830 circa. Fu così chiamato dal nome del meteorologo inglese John Dalton che lo osservò. Come il Minimo di Maunder e il Minimo di Spörer, il minimo di Dalton coincise con un periodo di temperature globali sotto media). Durante il Minimo di Dalton le temperature medie in alcune parti d’Europa sono diminuite di 2C°. “Tuttavia è anche possibile che il crollo dell’energia solare potrebbe essere profondo come il ‘minimo di Maunder’ tra il 1645 e il 1715 nella parte più fredda della ‘Piccola Era Glaciale’”.

La “piccola era glaciale” dal 1600 al 1850

cfr : https://keynes.scuole.bo.it/sitididattici/farestoria/approfondimenti/a05_01.html

Lo storico francese Emmanuel Le Roy Ladurie ha inaugurato un nuovo campo d’indagine con il suo libro Histoire du climat depuis l’an mil (1967), tradotto poi in inglese e in italiano (1982) con il titolo Tempo di festa, tempo di carestia. Storia del clima dall’anno Mille. Al successivo moltiplicarsi degli studi di climatologia storica Le Roy Ladurie ha fatto seguire un’opera assai più vasta intitolata Histoire humaine et comparée du climat (due volumi, 2004-05). Se le notazioni su stagioni particolarmente inclementi dimostrano poco circa i mutamenti climatici, resta da stabilire come si possa ricostruire la storia del clima sulla scala temporale degli ultimi secoli. Le serie dai dati raccolti strumentalmente (termometri, pluviometri, igrometri) cominciano solo nei decenni centrali del XVIII secolo. Il lavoro di Le Roy Ladurie è in gran parte uno studio sui metodi che consentono di risalire a epoche anteriori.
Applicati al XVII secolo questi metodi convergono a presentare il quadro di un periodo climatico più freddo e piovoso e con forti irregolarità da un anno all’altro. I primi sintomi del peggioramento del clima sono registrabili già dagli anni 1540-60 ed è solo con i decenni centrali del XIX secolo che si concluderà quella che gli storici del clima hanno denominato “piccola età glaciale”. Rispetto alla prima metà del Cinquecento la diminuzione della temperatura media annua raggiunse al massimo 1°C, che, non tenendo conto degli inverni eccezionalmente freddi, fu anche più alta limitatamente alla stagione primavera-estate (con 1,5-2 gradi in meno). Questo fatto è ampiamente documentato dal ritardo di diversi giorni che risulta nell’inizio delle vendemmie nella Francia settentrionale confrontando il 18-26 settembre della prima metà del Cinquecento con i due successivi cinquantenni (anche dopo il 15 ottobre) e seguendo la regola data da Le Roy Ladurie: «vendemmie precoci, annata calda; vendemmie tardive, annate fredde, o, più esattamente, periodo vegetativo (i sei mesi successivi a marzo-aprile) freddo».

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Miniatura raffigurante la raccolta dei prodotti di campagna nel mese di settembre, XVI sec.
I dati climatologici offrono un quadro di sicure difficoltà generali per l’agricoltura europea del periodo 1590-1710, con il ripetersi ravvicinato di diversi anni consecutivi di carestie.
Dopo i grandi geli degli anni intorno al 1700, anni freddi e umidi tornarono nel 1750-75 e nel 1810-20, ma i progressi nel frattempo compiuti dall’agricoltura europea ridussero notevolmente gli aspetti catastrofici dell’ultima fase della “piccola età glaciale”.
 

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Nel quadro è raffigurato il ricordo della “Piccola Età Glaciale” della Laguna Veneta congelata nel terribile inverno del 1709. Great Frost per gl’inglesi, Petit Âge glaciaire per i francesi … nella notte d’Epifania tra il 5 e 6 Gennaio il freddo eccezionale che stava affettando a Russia, irrompe in Europa, in particolar modo la parte centrale e mediterranea, anche se nessun territorio del Vecchio Continente venne risparmiato. In poche ore si congelarono pozzi, fontane, rivi e piccoli laghi, fino toccare minime di – 20 gradi. Colpì tutta Europa e si ritiene che fosse stato il più freddo degli ultimi 500 anni. Nella Pianura Padana cadde un metro e mezzo di neve, a Venezia – 17,5 gradi con forte bora.lanno-terribile-1709-1

cfr : https://www.venetostoria.com/?p=6450


Le Globe. Revue genevoise de géographie

I grandi valichi valdostani in eta’medioevale alla luce delle moderne concezioni di climatologia

cfr : http://www.persee.fr/docAsPDF/globe_0398-3412_1985_num_125_1_1198.pdf

La storia délia Valle d’Aosta è essenzialmente la storia dei suoi valichi. Il solco délia Dora Baltea, pur essendo cinto dai monti più alti d’Europa (Monte Bianco 4.810 m., Cervino 4.478. Monte Rosa 4.633 m.) svolge attraverso i tempi la funzione di canale dei traffici fra il Mediterraneo e l’Europe Centro-Occidentale grazie ai profondi corridoi vallivi e aile larghe selle di trasfluenza che i ghiacciai pleistocenici incisero nella potente massa montuosa.
I passi più conosciuti e più frequentati sono il Piccolo San Bernardo e il Gran San Bernardo che mettono rispettivamente nella alta Valle dell’lsère e nella Valle dell’Entremont, tributaria dei Rodano Vallesano. Essi conservano testimonianze di frequentazione fin dalle età preistoriche e protostoriche.
Nelle condizioni climatiche attuali questi passi (che hanno rispettivamente l’altitudine di 2.188 e 2.473
m.) sono innevati per otto, nove mesi l’anno e pertanto è logico chiedersi
corne potevano in passato garantire una regolare via di transite Si noti che attraverso i valichi valdostani, durante il medioevo non si svolgevano soltanto transumanze di armenti o traffici locali ma veri e propri itinerari commerciali che provenivano dalla penisola italiana ed erano diretti nei secoli XII et XIII aile grandi fiere dello Champagne, in quelli XII e XVI a quelle di Ginevra e nei secoli XV-XVI a quelle di Lione (BERCIER, 1980, p. 199 e seg.). La variazione di due gradi di temperatura média annua corrisponde allô spostamento di trecento metri dei limiti altitudinali délie colture, dei boschi, dei pascoli e délie nevi perenni e di conseguenza alla perdita o all’acquisto di centinaia di ettari di territorio utilizzabili ai fini econimici.
Per quanto riguarda la transitabilità dei valichi, oltre alla temperatura média annua, grande importanza ha la quantité di neve e ilperiodo di innevamento; infatti negli anni poco nevosi i passi sono transitabili
per un periodo più lungo.
Al Cran San Bernardo oggi l’innevamento dura in média 255 giorni (JANIN, 1970, p. 49) ed al Piccolo 210 (JANIN, 1980, p. 34). Con température meno severe e minore quantité di neve l’innevamento potrebbe ridursi rispettivamente a meno di 200 et 160 giorni. Il più attento studioso délie variazioni climatiche in Valle d’Aosta è Umberto Monterin.
Nato nel 1887 a d’Ejolo un villagiodell’alta valle di Cressoney posto all’altitudine di 1.850 m., docente universitario, glaciologo e geologo insigne, direttore degli osservatori scientifici del Monte Rosa posti aile quote di 3.000 e di 4.500 metri, egli approfondi fin dagli anni ’20 le ricerche di climatologia alpina attuale e storica.
Nel 1937 dette aile stampe un’opéra dal titolo “II clima délie Alpi ha mutato in epoca storica ?” in cui con metodo rigorosamente scientifico precorre le attuali ricerche. (…)
Infine, sulla scorta di numerosi documenti d’archivio lo studioso valdostano mette in luce che soltanto nel XVII e XVIII secolo vengono rilevate difficoltà di transito sui valichi più elevati per l’aumento délie masse glaciali mentre nei secoli precendenti gli stessi valichi (Passo di Monte More 2.862 m; Passo del Teodula 3.317 m.; Col Fenêtre de Durant 2.812 m.; Col Collon 3.132 m.; Col d’Herin 3.480 m.) appaiono corne normali vie di collegamento fra le valli contigue.
Gli studi condotti dal geomorfologo austriaco Mayr sulla scorta délia datazione al C14 délie torbe prelevate a Bunte Moor in Tirolo, presso la fronte del ghiacciaio di Fernau, hanno messo in luce che dopo la forte espansione glacialedei secoli VI, VII e VIII corrispondenti ad un’epoca più fredda dell’attuale, attorno al 750 d.C. il clima cominciô a migliorare (LE ROY LADURIE, 1967, p. 240). Di decennio in decennio il limite polare e altimetrico délie coltivazioni si estese; i passi alpini si fecero transitabili per un periodo annuale sempre più lungo e la vita in montagna cambiô in modo sostanziale.
Con il trascorrere del tempo il miglioramento climatico andrà facendosi sempre più évidente e, salvo un cinquantennio freddo posto fra il termine del secolo XII e l’inizio del XIII perdurera fino a meta del secolo XVI dando luogo a quello che viene chiamato “l’optimum climatico del Basso Medioevo” (BERGIER, 1980, p. 173). I primi a trarre partito da questo nuovo stato di cose furono i Carolingi : Pepino il Brève nel 755 et 756 e Carlo Magno nel 773 attraversarono con i loro eserciti il valico del Gran San Bernardo e scesero nella pianura padana ad affrontare i Longobardi. Queste spedizioni vittoriose permisero, nell’800 la fondazione del Sacro Romano Impero. Il più importante asse viario del nuovo organismo statale fu la strada Mons Jovis, cioè del Gran San Bernardo che congiungeva per la via più brève la capitale politica – Acquisgrana nella valle del Reno – con Roma, la capitale religiosa (DAVISO, 1961, p. 39). (…)
In effetti, attorno al 1000 iniziô un periodo in cui risulta chiaramente dai documenti dell’epoca che lo spartiacque, anche notevolmente elevato, non era vissuto corne un confine. In quell’epoca l’abbazia di San Maurizio di Agauno estendeva la sua giurisdizione in territorio valdostano aile alte valli di Ayas e di Cressoney, quest’ultima apparteneva in parte al Vescovo di Sion; i Signori di Porta Sant’Orso in Aosta possedevano al di là del Cran San Bernardo la valle di Entremont.
Gli esempi potrebbero continuare ad estendersi a tutto l’arco délie Alpi Occidentali, Centrali e Orientali.

 (…)

Sul finire del secolo XV a causa delle guerre fra Francia e Spagna una gravissima crisi si abbattè sul Ducato di Savoia e lo travagliô per lunghi decenni tanto da portarlo al limite dello sfacelo.
L’abilità politica e militare di Emanuele Filiberto riusci a salvare lo Stato e a restaurarlo ma nel frattempo il Vallese, il Vaud e il Cinevrino erano entratia far parte délla Confederazione Elvetica. A causa del nuovo assetto territoriale dello stato, la valle d’Aosta perdette la sua posizione di asse centrale dei possedimenti sabaudi.
I traffici attraverso i suoi valichi decaddero al rango di traffici locali mentre la promozione di Torino a capitale deviô sulla val di Susa e il passo del Moncenisio, già favoriti dalle fiere di Lione, il maggior flusso di traffici dello stato Sabaudo.  (…)
A meta del sec. XVI si produsse un evento ben più grave per le Alpi che le sfavorevoli congiunture politiche legate aile contese fra Francia e Spagna.
E 1 l’avvento, quasi improvviso, di quel lungo periodo freddo che per la sua durezza fu chiamato “la piccola età glaciale”.
Essa si annunciô intorno al 1540 con lunghi inverni nevosi.
Attorno al 1590 il raffreddamento si fece più netto e coinvolse anche le température estive di tutta l’Europa causando gravi ritardi nella maturazione dei prodotti agricoli.
I ghiacciai alpini aumentarono di volume e di lunghezza raggiungendo il loro massimo storico assoluto fra il 1601 e il 1644 e nuovamente fra il 1820 e il 1850 (LE ROY LADURIE, 1967, p. 208). In Valle d’Aostai limiti altimetrici délie nevi perenni, dei pascoli, dei boschi e délie colture si abbassarono nei confronti délia situazione che aveva caratterizzato il tardo medioevo, di circa cinquecento metri, riducendo drasticamente la superficie coltivabile e il periodo di transitabilità dei valichi.
I passi più elevati, e fra questi il colle del Teodulo, vennero ricoperti dai ghiacciai; gli altri restarono innevati per più di nove, dieci mesi all’anno.
Per le popolazioni alpine fu il tracollo : le attività agricole e quelle mercantili diventarono impossibili in alta montagna e le creste spartiacque, nei secoli precedenti cosi permeabili ai traffici e aile culture divennero barrière insormontabili che rinserravano ogni comunità nella propria valle.
Cosi mentre l’avvento dell’età moderna pervadeva di nuova ricchezza materiale e culturale, i paesi délie pianure europee, le Alpi colpite dalla avversa congiuntura climatica nelle risorse che costituivano i fondamentali béni di produzione, cadevano in durissima povertà.  (…)
Leggiamo nel : Vallis Augustanae compendiaria descriptio délia meta del sec. XVII, periodo in cui si verificô uno dei massimi storici dell’espansione dei ghiacciai : “Attraverso la valle Tornenchia si passa all’alto Vallese, in un luogo detto Praborna (l’odierna Zermat) attraverso l’asperrimo e altissimo colle Cercino (da cui poi il nome Cervino) facendo otto miglia di cammino sui ghiacciai eterni : infatti in questo luogo ghiacci e nevi non sciolgono’ mai.
Di qui, in estate, i Vallesani vengono nel luogo detto Valtornenchia per comperare il vino che poi vendono fino ai Crigioni”. Si trattava perô soltantpiù di un movimento locale affidato a forti montanari abituati a misurarsi con tutte le insidie délia montagna altissima.
Il transito dei viaggiatori e dei commercianti provenienti dalla pianura era cessato fin dalla seconda meta del secolo XVI quandi i ghiacciai avevano ricoperto gli alti valichi. Con la cessazione dei traffici attraverso il Teodulo declinô anche la potenza e la ricchezza dei signori di Challant.
Essi erano cosi chiaramente consci dello stretto legame che univa le loro fortune alla transitabilità degli
alti valichi che quando i ghiacciai presero a crescere e a minacciare sempre più seriamente i passi, essi intrapresero una lotta indomita contro gli elementi délia natura.

L’ecosistema terra nel canto dell’universo

Di Antonino Palumbo

cfr : link

solar


Piccola Età Glaciale (XIV-XIX sec.) e Periodo Caldo Medieval e (IX-XIII sec.)
La fase attuale di accentuato ritiro dei ghiacciai si colloca in una più lunga storia di variazioni glaciali, documentate sia da misure e osservazioni dirette effettuate nell’ultimo secolo, sia da più antiche testimonianze storiche e, soprattutto, da evidenze geologiche.
Da queste fonti di informazione sappiamo che nella seconda metà del 1800 si concluse una lunga fase di attività dei ghiacciai, nota come “Piccola Età Glaciale”. Da allora è incorso una fase di progressivo ritiro, solo temporaneamente ed inefficacemente interrotta da modeste fasi di riavanzata, prodottesi intorno al 1890, 1920, 1970-85. E’ rimarchevole come il comportamento dei ghiacciai alpini abbia seguito, con un certo ritardo, l’andamento della curva della temperatura media annua globale (WORLD METEOROLOGICAL ORGANIZATION, 2006; www.wmo.ch/web/catalogue/).

Sebbene non via sia completo accordo sulla sua durata e rilevanza a carattere globale, la Piccola Età Glaciale (PEG) nelle Alpi si ritiene sia cominciata all’inizio del secolo XIV, quando il maggiore dei ghiacciaialpini, il Ghiacciaio dell’Aletsch, da posizioni simili a quelle attuali iniziò ad avanzare, raggiungendo intorno al 1370-1380 la sua massima estensione (HOLZHAUSER ET AL. , 2005). Anche gli studi storici sul clima in Europa pongono l’inizio della Piccola Età Glaciale all’inizio del secolo XIV (LEROY LADURIE, 2004). Dopo la prima fase di avanzata nel secolo XIV, l’Aletsche molti altri ghiacciai alpini hanno lasciato tracce di due fasi successive di massima avanzata, nel secolo XVII e nel secolo XIX. Le tre maggiori fasi di avanzata sono state intercalate da minori fasi di ritiro e da pulsazioni intermedie. Nei ghiacciai italiani l’ultima fase di avanzata della PEG è stata in generale la più estesa, cancellando o nascondendo le tracce delle precedenti. Quasi tutti i ghiacciai italiani mostrano morene laterali e talora frontali ben sviluppate, edificate o comunque accresciute nella fase finale della PEG.

I grandi ghiacciai valdostani e lombardi hanno raggiunto la loro massima estensione intorno al 1820 e poi ancora intorno al 1850-60. Con il 1860 ha inizio la fase attuale di ritiro e molti ghiacciai si ritiene siano ora più ridotti che all’inizio della PEG, mentre un buon numero di piccoli ghiacciai è interamente scomparso.
Gli studi sulle variazioni climatiche in epoca storica in Europa hanno da tempo messo in evidenza una fase calda prima della PEG, nota come Periodo Caldo Medievale (secoli IX – XIII). L’ estensione dei ghiacciai alpini immediatamente prima della PEG è poco nota, come avviene in generale per tutte la fasi di contrazione, le cui tracce sono state distrutte dalle successive fasi di avanzata. Vengono i potizzate durante questo periodo caldo posizioni frontali più arretrate delle attuali, ma pure modeste fasi di avanzata (ad es. ghiacciai Aletsch e Gorner nel IX e XII secolo, HOLZHAUSER ET AL. , 2005 )

Popolazione ed economia tra Cinque e Settecento Il Seicento infatti ha avuto uno sviluppo diversificato a causa della “Piccola Glaciazione del XVII secolo”.
cfr : http://www.soc.unitn.it/sus/membri_del_dipartimento/pagine_personali/niccoli/lezioni01-02/lezione04.htm

  • In Italia si avranno danni derivanti dall’eccessiva cerealizzazione; la diminuzione di pascoli per il bestiame diminuisce concime e impoverisce la terra = carestia (1619-22; 1628-30). Le calorie più economiche sono quelle derivanti dal pane, dai fagioli e soprattutto dal vino.
  • Crisi dell’industria serica italiana; impoverimento lavoratori, ritardo dell’età del matrimonio, decremento demografico.
  • 2 epidemie di peste: 1630 (Italia, Germania, Spagna) e 1656 (Inghilterra, Francia)
  • Guerra dei Trent’anni (1618-1648)
  • Le carestie risparmiano l’Inghilterra e l’Olanda (dove l’assenza di cerealizzazione e il miglioramento dell’allevamento bovino causano un aumento della produttività terriera)
  • Quindi una situazione demografica e una evoluzione sociale assai diversificata: in Italia e in Spagna forme di rifeudalizzazione e di ripristino di diritti signorili (mantenuti anche in area germanica); in Olanda e in Inghilterra ampia ed efficiente attività commerciale anche con il nuovo mondo (compagnia delle Indie Orientali, 1602; delle Indie Occidentali, 1612); nell’Europa Orientale al ripristino dei diritti signorili si accompagna lo sviluppo della servitù della gleba.

Gli Inverni italiani durante il minimo di Maunder, nel pieno della Piccola Era Glaciale

Uno studio italiano, condotto dai ricercatori Dario Camuffo e Silvia Enzi, ha evidenziato le caratteristiche, anno per anno, degli Inverni italiani di quel quarantennio.
La raccolta di dati interessa tutte le stagioni, ma noi porremo in evidenza solo gli accadimenti del periodo invernale.

1676: Dicembre: freddo severo e neve
1677: Gennaio molto freddo, con gelo di alcuni fiumi italiani.
1679: Gennaio: lo scioglimento delle nevi sulle montagne provoca alluvioni.
1684: Grande inverno che inizia in Gennaio, con pesanti nevicate, e gelo di fiumi e di pozzi, nonché morte di persone, animali e piante.
1685: Inverno molto freddo che seguì il grande inverno del 1684. Il gelo iniziò appena passato Dicembre, ed imperversò soprattutto in Gennaio.
1691: Inverno molto mite in Dicembre e Gennaio. Dalla fine di Gennaio, grande freddo con congelamento dei fiumi. Poca pioggia in Inverno.
1694: Inverno freddo, alluvioni in Dicembre.
1695: Forti nevicate tra il Dicembre 1694 ed il Gennaio 1695, poi un mese e mezzo di piogge continue ed alluvioni.
1697: Forti nevicate in Febbraio.
1699: Forti nevicate in Gennaio, seguite da straripamenti di fiumi.
1701: Pesanti nevicate durante l’Inverno.
1702-03: Inverno mite, con piogge ed allagamenti in Dicembre.
1705: Pesanti nevicate in Febbraio.
1708: Inverno molto mite.
1709: Un grande Inverno, il più severo degli ultimi 500 anni. Gennaio: grande freddo, con -17,5°C misurati a Venezia sotto una fortissima bora, con un metro e mezzo di neve caduta sulla città. Gelo dei grandi fiumi e della Laguna Veneta, attraversata da carri ed artiglieria. Gelano vino e pozzi, muoiono persone, animali, e piante. Febbraio: Molto freddo e nevoso.
1715: Inverno molto secco.

Complessivamente, ne emerge un quadro di Inverni non necessariamente sempre freddi, e molto variabili nelle loro condizioni climatiche. A volte, si susseguivano anche inverni miti e molto asciutti.
Gli inverni freddissimi furono due, nel 1684 e nel 1709.
Altri due furono gli inverni freddi, nel 1685 e nel 1691.

Si tratta dunque di quattro inverni molto rigidi in quarant’anni, con una media di uno ogni decennio, anche se tre di essi si sono presentati in soli sette anni, tra il 1684 ed il 1691, in uno dei decenni più rigidi di tutto lo scorso millennio.
Il gelo iniziava quasi sempre in Gennaio od in Febbraio, i mesi realmente interessati dalle ondate di freddo più intense, mentre solo nel 1676 viene segnalato grande freddo in Dicembre.
Gli inverni in cui viene segnalata molta neve sono invece 8, quasi il doppio.
Due gli inverni molto miti, nel 1703 e nel 1708.
Nel 1715 viene segnalato invece un solo Inverno molto asciutto, l’unico del quarantennio considerato.
E’ da segnalare un’importante differenza tra i due bacini del Mediterraneo, Occidentale ed Orientale.
Nessun Inverno severo è infatti segnalato sul lato orientale del Mediterraneo (escluso l’Adriatico), tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento, almeno a livello tale da gelare gli alberi di olivi e danneggiare il raccolto d’olio.
Questo significa che, durante gli Inverni severi, il percorso abituale dell’aria fredda era dalla Siberia verso le Isole Britanniche, la Francia, la Spagna e l’Italia, mentre il lato orientale del Mediterraneo era interessato da correnti più miti meridionali.

di Marco Rossi

cfr : http://www.meteogiornale.it/notizia/17128-1-gli-inverni-italiani-nel-minimo-di-maunder-durante-la-piccola-era-glaciale


Che cosa ha posto fine alla Piccola Era Glaciale ?

Che cosa dice la Scienza…

Il principale fattore determinante il riscaldamento dalla fine della Piccola Era Glaciale al 1940 è stato il Sole ed in parte la attività vulcanica. Comunque la attività solare si è ridotta dopo il 1940 e l’influenza netta di Sole e vulcani dal 1940 in poi è stata di leggero raffreddamento. I gas serra hanno fornito il maggior contributo al riscaldamento dal 1970 in poi.
“La temperatura globale è aumentata costantemente di 0.5°C per secolo dalla fine della piccola era glaciale nel secolo XVIII (quando il fiume Tamigi gelava ogni anno; l’ultima volta che è avvenuto era il 1804).La IPCC accusa le emissioni umane di anidride carbonica dela responsabilità del recente riscaldamento. Ma per generale ammissione, le emissioni di CO2 sono state abbastanza grandi sì da essere significative,  solo dal 1940, mentre il trend di riscaldamento era già in corso da oltre un secolo” (David Evans)
La piccola era glaciale è stato un periodo freddo tra il secolo XVI e XIX. La superficie del  Tamigi spesso ghiacciava. Le colonie norvegesi insediate in Groenlandia non poterono sopravvivere in tali estreme condizioni. Dopo il 1850 le temperature cominciarono a risalire. Le emissioni antropogeniche  di CO2 verso fine XIX secolo erano solo una frazione  di quelle attuali. E’ concepibile che la attività umana abbia  favorito la uscita dalla piccola era glaciale? O altri fattori hanno avuto un ruolo? E quali riflessi hanno queste considerazioni sull’attuale riscaldamento globale. Questi aspetti sono oggetto di una analisi che prende in esame i vari fattori che possono aver svolto un ruolo determinante sul Clima del XIX secolo (Meehl 2004).
Sono state fatte delle simulazioni climatiche comprendendovi due fattori naturali che hanno influenze sul Clima: il Sole ed i vulcani. Le eruzioni vulcaniche provocano un raffreddamento globale per pochi anni dopo la eruzione. La diminuzione della attività vulcanica dopo il 1915 ha contribuito al lieve riscaldamento di inizio XX secolo. Comunque il contributo maggiore dal 1880 in poi venne dal Sole, che diede luogo ad un riscaldamento continuo fino agli anni ’40. Quando si tenga conto dei due fattori assieme, risulta spiegabile il riscaldamento dal 1880 al 1940. Il contributo del Sole e dei vulcani dal 1940 in poi invece è stato minore e complessivamente negativo.
20th_century_nat_antQui risultati di un modello climatico comprendente  forcings naturali confrontati con le osservazioni (linea nera). La linea rossa rappresenta la media  dell’insieme dei 4 fattori. La sfumatura rosa il range del modello. La linea blu è la media dell’insieme  e la sfumatura blu chiaro è il range dell’insieme.

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Ricerche a cura del dott Giovanni Greco;
dott in Conservazione dei Beni Culturali, con laurea in archeologia industriale, è studioso e autore di numerose ricerche sul Salento, Erasmus in Germania nel 1996, ha viaggiato per venti anni in Italia e in Europa, ha lavorato un anno in direzione vendite Alitalia nell’aeroporto internazionale di Francoforte, ha diretto per cinque anni la sezione web di un giornale settimanale cartaceo italiano a Londra, libero professionista, videomaker, artista raku, poeta, webmaster, blogger, ambientalista, presentatore, art director, graphic designer, speaker radio, giornalista freelance Internazionale iscritto presso l’agenzia GNS Press tedesca, collabora come freelance con diverse realtà sul web e sul territorio locale. Dal 1998 è direttore responsabile della rivista on line “BelSalento.com – arte, storia, ambiente, politica e cultura della Terra dei Due Mari – Servizi di Fruizione Culturale”.
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i miei viaggi in Europa dal 1996 al 2014 – Giovanni Greco

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1 Commento su “la Piccola Era Glaciale in Europa tra il XVI e XIX secolo”

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