Asini e Muli leccesi di inizio ‘800, più vigorosi dei cavalli, che vanno al trotto ed al galoppo … dopo quelli di Spagna i più belli del mondo … gambe snelle … teste superbe … si credono alci …

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ricerche a cura del dott Giovanni Greco

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Asini e Muli leccesi di inizio ‘800

Lu Ciucciu

“più vigorosi dei cavalli, che vanno al trotto ed al galoppo … dopo quelli di Spagna i più belli del mondo … gambe snelle … teste superbe … si credono alci …” disse Giuseppe Ceva Grimaldi nel 1818. Nei trasporti rurali del Salento, l’antichissimo uso del traino con il mulo è qualcosa che si perde nella notte dei tempi della civiltà umana; e la Terra dei Due Mari ha conosciuto questo mezzo sin dalla preistoria; ossia sin dall’invenzione della ruota, appunto. Eppure i nostri dolci e servizievoli ciucciareddhi salentini pare siano in via di estinzione.

Il Traino nel Salento

I Muli sono l’incrocio tra una cavalla ed un asino stallone. Essendo forti, docili, resistenti e sterili, erano considerati validi per il trasporto di carichi molto pesanti per lunghe e brevi distanze, riuscendo a sopportare la fatica. Sottoposti a sforzi eccezionali, diventavano insostituibili poiché nessun altro animale addomesticato riusciva ad equiparare le loro prestazioni lavorative. E nel Salento il trasporto di trozze d’acqua o vivande, come tutta la produzione agricola ha sempre viaggiato sul dorso dei nostri docili “ciucciareddhi” muli ed asini, i migliori amici dei contadini di tutte le ere.
Nessun contadino poteva fare a meno dell’asino. Il loro rapporto era certamente basato sull’affetto; l’animale era parte integrante di ogni aspetto della vita dei suoi padroni, era “strumento” di lavoro, ma anche qualcosa in più … era parte della famiglia, e agli asinelli venivano riservate attenzioni delicate e amorevoli.
Nelle Aje, nei trappeti … chissà quante pietre per i muretti a secco hanno trasportato, o per la costruzione di pajare, furneddhri  e neviere … tutte le strade delle campagne, le mulattiere, le vie messapiche sono state movimentate grazie alle energie di questi quadrupedi, che per alcuni millenni (millenni) hanno ripercorso antichi tracciati; e ovunque i nostri asini e muli erano forza-lavoro: una presenza costante.


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Erano davvero imponenti i lavori  degli asini: erano loro che trasportavano le “Ozze” e i grossi canestri flessibili che portavano appesi al dorso inzeppati fino all’orlo. E come non ricordare i muli e gli asini nei trappeti ipogei dove per cinque o sei lunghi lunghi mesi l’asino bendato girava la pesante macina (la grande pietra molare) per la spremitura delle olive; in tutto quel periodo la stalla dove riposava il mulo (o l’asino) era contenuta all’interno del frantoio.

Sciamu Nina mé. Sciamune a casa” …
Si narra che la sera, i contadini sui traini al ritorno dal lavoro nei campi,  erano talmente stanchi che spesso si addormentavano; mentre il mulo da solo riportava il suo padrone a casa. Esattamente come nella poesia del Pascoli.  E infatti “Lu ciucciu“, come era chiamato da tutti, non era proprio un somaro!

Alla ricerca di proverbi sull’asino nel Salento, ho scoperto una modesta quantità di modi di dire in dialetto salentino che danno conferma dell’assoluta vivacità della saggezza popolare sia nel lessico sia nelle consuetudini ambientali e sociali fra l’asino e i suoi amici padroni.

Acqua de maggiu, piscina de ciucciu (Acqua di maggio, pipì d’asino)
Cavadrhu per ci a caminare, mulu per ci a caricare, ciucciu per ci a castimare (cavallo per chi deve viaggiare, mulo per chi deve caricare, ciuco per chi deve bestemmiare)
No ciucciu ti maggiu, no femmina ti panieri (Non comprare un asino nato a maggio e non sposare una donna incontrata in una festa di paese)
Fatia comu nu ciucciu
(Lavora come un asino)
Ciucciu de fatica (chi lavora senza sosta)
Quandu lu ciucciu nu bbole cu bbiva macari ca fischi (Se l‘asino non vuole bere, è inutile che lo chiami)
Ci lu ciucciu nun bbole bbia avoglia ragghi (Se l’asino non vuol bere, è inutile parlargli)
Quannu lu ciucciu raja è cu chiama la paja, quannu lu masculu suspira è la fimmina ca lu tira (Quando l’asino raglia, è per chiamare la paglia; quando l’uomo sospira, è perché la femmina lo tira)
Lu ciucciu porta a paja e le ciucciu se la ngaia
(L’asino porta il mangiare e lo stesso se lo mangia)
Mintili la còppula, e puru llu ciucciu se sente culunnellu
(Mettigli il berretto, e anche l’asino si sentirà colonnello)
Tacca lu ciucciu a du ole lu patrunu
(Lega l’asino dove vuole il suo padrone)

Tacca lu ciucciu a du ole l’auru ciucciu (Lega l’asino dove vuole l’altro asino)
Tacca lu ciucciu adrù ole idrhu (lu ciucciu)

Cu lavi la capu allu ciucciu pierdi tiempu e sapune
(A lavare la testa all’asino sprechi tempo e sapone)
Lu bue dice curnutu allu ciucciu
(Il bue ingiuria cornuto l’asino)
ciucciu vecchio pare puddridru


Il mulo fa parte integrante della storia contadina del Salento. Ne sono conferma le stesse tracce delle antiche strade rurali dette “mulattiere” che ancora riscontriamo nel paesaggio salentino che confermano appunto la presenza di asini e muli negli spostamenti di uomini e mezzi. Il termine  “mulattiera” deriva proprio da “mulo”. E andando a ritroso ho trovato che già “Le vie di comunicazione messapiche dovevano consistere specialmente in mulattiere e forse solo pochi tratti erano transitabili da carri; una situazione viaria quindi non molto diversa da quella protostorica premessapica, con caratteri che restano per lunghissimo tempo quasi immutati, espressivi di una economia povera e stazionaria. Il reticolo di mulattiere messapiche (che rimane sostanzialmente quasi identico, nel suo sviluppo e nelle direttrici, in epoca romana) delinea interessanti relazioni con vie preistoriche e protostoriche essenzialmente legate a “vie” commerciali.

Nel testo  “Annali Istituto «Alcide Cervi» (1997)” alle pagg 105,106 ho trovato un interessante riscontro dell’uso (ben noto) dei muli e dei cavalli nelle terre del Salento in età messapica. in particolare la nota 241 pag 106 Cfr : https://books.google.it

Marco Terenzio Varrone, in latino Marcus Terentius Varro (Rieti, 116 a.C. – Roma, 27 a.C.), letterato, scrittore e militare di epoca romana, accennava agli asini del Salento che portano olio al mare (venti secoli or sono) (Varr., R.. R.. 2, 6, 5.) : «si formano quasi greggi di mercanti, come avviene nel Brindisino o in Puglia, dove, su as ini a basto trasportano al mare olio o vino o anche frumento o altro». Naturalmente si tratta di trasporto di derrate destinate all’esportazione, per questo la produzione dei centri interni come Brindisi, veniva convogliata a schiena d’asino nei porti d’imbarco, per essere inviata nei mercati lontani, di facile e lucroso smercio.

Il mulo Galeone, uno dei migliori stalloni razzatori Foto prof. Aurelio Bianchedi – Da dott. R. G. Montanaro, L’asino di Martina Franca, in Rivista di zootecnia, Firenze, 1930

Qui alcuni estratti di epoca borbonica dell’opera di Giuseppe Ceva Grimaldi nel viaggio dell’Intendente borbonico da Napoli a Santa Maria di Leuca 1821 – Ceva Grimaldi, Giuseppe marchese di PietracatellaItenerario da Napoli a Lecce e nella provincia di Terra d’Otranto nell’anno 1818” in cui si fa riferimento alla presenza di “asini” e dei “muli” leccesi, che il GCGrimaldi ritiene siano più vigorosi dei cavalli, che vanno al trotto ed al galoppo … dopo quelli di Spagna i più belli del mondo … gambe snelle … teste superbe … si credono alci.
Un mondo a dire il vero denso di problematicità ma anche a tratti sbalorditivo; ormai perso.

Per questo motivo oggi, III millennio, dovremmo tornare alla terra, all’armoniosa cultura contadina e, più in generale, per dare uno slancio sia alla “coltura”, ma anche alla nostra “cultura”. Tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX, si era incrementato il fenomeno dell’esportazione degli stalloni asinini dagli allevamenti di Martina Franca, dapprima solo verso gli altri Stati italiani (Lombardo-Veneto e Stato Pontificio), successivamente in tutto il Mondo. L’esportazione fece crescere la notorietà della razza, tanto che già nel corso del 1800 molti autori di trattati zootecnici e tecnici del settore quali il Fogliata, il Faelli ed il Chiari, iniziarono a definirla come “pugliese” e quindi come una razza a sé stante, e non più come una varietà delle razze di Guascogna e di Catalogna. Ma questa gloria dei muli pugliesi e del Salento dell’800, conobbe un tendenziale declino verso la fine del XIX secolo. Apparentemente a cavallo fra 1800 e 1900 si iniziò a valorizzare nuovamente gli allevamenti del bestiame di Terra d’Otranto, che era utilizzato sia per la produzione del letame sia per i lavori nei campi.

Solo nel 1902 gli asini della Murgia Sud-orientale furono formalmente definiti come “Asino del Leccese” o specialmente “di Martina Franca” (varietà dell’asino Pugliese) da Francesco Tucci, direttore del Regio Istituto Zootecnico di Palermo, il quale fece introdurre in Sicilia alcuni stalloni pugliesi al fine di migliorare le razze autoctone Ragusana e di Pantelleria.
Sotto il regno dei savoia nel 1905 il Prof. Ferdinando Vallese (titolare della Cattedra ambulante di Agricoltura), per uscire da quella crisi incitò lo sviluppo della Zootecnia degli allevamenti di stalloni di asini e cavalle, dal cui incrocio si garantiva la nascita di muli. E per incrementare la produzione degli allevamenti di asini, cavalle e muli, nel 1905 fu organizzata a Lecce la Mostra Zootecnica provinciale. L’interesse del Prof. Vallese non era legato ad un recupero della tradizione locale, quanto bensì ad uno sfruttamento intensivo e alla principale funzione dei muli : il trasporto e non per ultima ad una futura richiesta di muli nei trasporti.
Cfr : http://centrostudiagronomi.blogspot.it/2010/03/dorso-di-mulo.html
Il prof Ferdinando Vallese, fu nominato “aiuto-direttore ed insegnante di scienze fisiche e naturali, in esperimento, nella Scuola pratica di agricoltura di Brescia, trasferito alla Scuola pratica di agricoltura di Lecce, dal 16 dicembre 1883″. Dai “Decreti e disposizioni concernenti il personale delle Scuole speciali e pratiche di agricoltura” della “GAZZETTA UFFICIALE DEL REGNO D’ITALIA, 1884″.

 

Dopo appena dieci anni l’Italia si avviava al primo conflitto mondiale, nel quale il mulo è stato ampiamente impiegato. Ma quanti muli del Salento sono andati in guerra? Prima di accennare al tema dei muli in guerra (…) torno sulla storia dei muli del Salento e di Martina Franca dando un breve accenno ad alcune informazioni trette da un articolo a cura di Tania Pagliara :

Fino a fine ‘800 nelle zone vicine alla Madonna dell’Alto si incrociavano gli asinelli bianchi provenienti dall’Asinara con quelli provenienti dall’Albania. Questi incroci venivano portati a Martina Franca dove venivano ulteriormente incrociati per far nascere il ‘mulo’ pugliese, più alto e robusto rispetto agli altri (…) Risulta dalle interviste che dagli allevamenti dell’’800 delle zone della cupa, in prossimità della polis di Valesio, gli incroci tra asinello bianco ed asinello dei balcani venivano portati a Martina Franca, incrociati con gli asinelli pugliesi, più alti e robusti, per far nascere il mulo pugliese forte ed unico. Non vi sorprenda questo tipo di incroci, serviva per far nascere asinelli e muli della razza pugliese adattabili al 100% in altri luoghi. Da fine ‘800 in poi cessò questo tipo di incroci non potendo più importare l’asinello bianco sardo. Gli allevamenti degli asinelli e muli pugliesi continuarono a Martina Franca e ci sono ancora, mentre nella cupa balentina si continuò il commercio tra Sardegna ed Albania fino ai primi anni del ‘900. Cfr : L’ASINELLO PUGLIESE IN ESTINZIONE E LA DEA DEGLI ANIMALI IN JAPIGI,  cura di Tania Pagliara.

Il mulo e l’alpino hanno iniziato la loro collaborazione a partire dalla fondazione del Corpo nel 1872. Nel 1888 il mulo infatti, divenne di fatto un “soldato a quattro zampe”, ma la vera simbiosi iniziò con il suo inserimento nelle truppe alpine della Grande Guerra in quanto potè risolvere il problema dei trasporti sul fronte montano; il mulo era dotato delle caratteristiche fisiche che lo resero indispensabile per il trasporto di cannoni, vettovaglie e dei bagagli in alternativa ai carri. Durante la prima guerra mondiale del 1915-1918 il mulo rappresentò l’unico mezzo di trasporto. Cfr http://www.secondo66.it/muli/muli_alpini.htm  Fattostà che dall’Archivio Storico della Marina Militare si apprende che tanti muli di Martina Franca (Martina apparteneva all’antica Terra d’Otranto sino al 1882; passerà alla provincia di Lecce nel 1923 e alla provincia di Taranto nel 1951) furono inviati nelle trincee del Friuli Venezia Giulia e del Trentino Alto Adige e utilizzati per lo spostamento di reparti e materiali, per le comunicazioni, per il sostentamento delle truppe; i Generali Cadorna e Diaz dovettero rispondere ad una commissione d’inchiesta sul numero degli animali persi o abbattuti durante le operazioni belliche (“Si conteggiavano più i muli che i soldati”). Cfr : http://www.istitutocomprensivochiarelli.gov.it/allegati/upload/20150608/20150608215942il-ruolo-della-regia-marina-nell-area-jonica.pdf
In seguito l’obiettivo della zootecnica nel dopoguerra è stato proprio quello di elevare la disponibilità di prodotti animali per carne, latte, uova.

muli di Martina Franca nella prima guerra mondiale 1915-1918

In Puglia Mussolini incrementò le due razze equine. A Foggia c’era la struttura per selezionare i muli per le guerre degli alpini : la CAVALLA DELLE MURGE con asino di Martina Franca. Durante la Seconda Guerra Mondiale ne risultavano presenti, a fianco degli alpini,  circa 520.000 unità.

In sguito negli anni ’70 del 1900 ancora altri muli del Salento si ritrovarono “arruolati” nel corpo degli  alpini.


Dei muli ci restano solo tracce del loro glorioso passato; che ho raccolto anche grazie ai contributi che amici e conoscenti hanno trasmesso nei gruppi facebook e che ringrazio calorosamente.

Erano chiamati “ferraciucci” coloro che forgiavano le staffe dei muli. Mentre i “ferracavaddhri” (i ferracavalli anche detti maniscalchi) forgiavano e applicavano gli zoccoli ai cavalli.

I ferri del mulo e dell’asino dritti e paralleli – foto di Pancrazi O Zizzo

I nostri ciucciareddhi si abbeveravano all'”acquaro” che era una cisterna pile”, anche detta “vucculo” o “voiuruin genere risalenti a tutte le epoche medioevali se non ancor più arcaiche.

Poi c’erano gli tacca ciucci” in dialetto che servivano per legare cavalli o muli con relative carrozze o carri; in genere gli “tacca ciucci” posti più in basso erano usati per gli asini. Un’altra fonte li chiama “ucculeddhra” che serviva per attaccare le briglie di asini e cavalli.

La Pisara – foto di Luigi Paolo Pati

I Muli avevano il compito anche di trainare “la pisara” una grossa pietra trainata in genere da un mulo per separare i chicchi di grano dalla spiga e quindi mediante “lu intulaturu” che poteva essere o una pala di legno, o una specie di setaccio i chicchi venivano lanciati per aria di modo che, sfruttando il vento ed il diverso peso del grano e della crusca si separava questa da quello. (Luigi Paolo Pati)

La “via te l’oju”, l’antica mulattiera su cui veniva trasportato l’olio a dorso di mulo da Maglie fino al porto di Gallipoli – foto di Giuseppe Puce

“Lu Trainiere” -trasportatore- che munito di cavallo, o mulo era l’addetto a trainare i muli nei vari lavori come ad esempio quando questi erano impiegati all’interno dell’aia per pestare il grano o per il trasporto dell’acqua. “Lu trainieri” trasportava su richiesta qualsiasi tipo di materiale.

Il carro

Camina Ciucciu camina
nu te mputtiggiare ca imu scire
Estute de centu culuri
sta scianu cantandu tante illane
Subbra a na trainella
ca pare nu fiuru de campagna
cu canti ccumpagnate
de nu terrasare de cecale
Comu petali de fiuri
le farfalle scianu ulandu
Comu petali de fiuri …
Paparine, dammene mille e chiui
ca parenu russe russe
propriu comu a tante ucche.
Si tratta di un canto raccolto a San Cesario e diffuso nella zona tra Lecce e Gallipoli. Fa parte dei canti di carrettieri legato al trasporto sui carri dei prodotti agricoli da ogni luogo del Salento. I carri avanzano in lunghe file, da cui lo stile spesso dialogato che hanno questi canti come gli stornelli. In questo canto il ritmo cambia con il variare dell’andatura dell’asino. In particolare esso ci restituisce un’immagine lieta dell’ambiente rurale.” (descrizione tratta dal libricino all’nterno del disco “Canti di Terra d’Otranto e della Grecia Salentina”).


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Ricerche a cura del dott Giovanni Greco;
dott in Conservazione dei Beni Culturali, con laurea in archeologia industriale, è studioso e autore di numerose ricerche sul Salento, Erasmus in Germania nel 1996, ha viaggiato per venti anni in Italia e in Europa, ha lavorato un anno in direzione vendite Alitalia nell’aeroporto internazionale di Francoforte, ha diretto per cinque anni la sezione web di un giornale settimanale cartaceo italiano a Londra, libero professionista, videomaker, artista raku, poeta, webmaster, blogger, ambientalista, presentatore, art director, graphic designer, speaker radio, giornalista freelance Internazionale iscritto presso l’agenzia GNS Press tedesca, collabora come freelance con diverse realtà sul web e sul territorio locale. Dal 1998 è direttore responsabile della rivista on line “BelSalento.com – arte, storia, ambiente, politica e cultura della Terra dei Due Mari – Servizi di Fruizione Culturale”. BelSalento è un progetto a cura del dott Giovanni Greco

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